LA MOSSA DISPERATA DI SALVINI: UN RIMPASTO NELLA LEGA PER PLACARE GLI SCONTENTI
SEMPRE MENO CREDIBILE LA LEADERSHIP DEL CAPITONE, CHE POTREBBE FAR ENTRARE NELLA SEGRETERIA DEL PARTITO, COME VICESEGRATRIO, UN RAPPRESENTANTE DEL DISSENSO INTERNO, MAGARI UNO “ZAIA-BOY”…. MA CHI SACRIFICARE? IL PRESIDENTE DELLA CAMERA, LORENZO FONTANA, OPPURE IL FEDELISSIMO, ANDREA CRIPPA
Nella sua analisi della vittoria in Abruzzo, Matteo Salvini fatica a trovare un dato positivo a cui appigliarsi. Deve andare a guardare nel campo degli sconfitti, per evitare di guardare in casa propria: «Un buon risultato della Lega, che supera i Cinque stelle». Parliamo del 7,56 leghista contro il 7,01 per cento del Movimento. Una differenza di 3.187 voti. Si gioca una partita tra le macerie.
E dire che Salvini era sicuro di prendere «il 10%», solo pochi giorni fa. I leghisti abruzzesi, seppur meno ottimisti, si sarebbero accontentati di non scendere sotto l’8%. Ma niente è andato come doveva andare. La Lega ha perso più di 6mila voti rispetto alle Politiche di un anno e mezzo fa, mentre cresce Forza Italia, il competitor interno alla coalizione. Ed è la seconda secchiata d’acqua fredda in due settimane, perché in Sardegna Salvini aveva già fatto i conti con la perdita di oltre 17mila voti.
A livello locale, poi, la percezione è quella della disfatta totale. Non solo per il risultato nelle urne, ma anche per lo stato di salute del progetto di una Lega nazionale.
Dalla Sardegna all’Abruzzo, e via via nelle regioni del Centro e del Sud Italia, i referenti locali del Carroccio vedono un progetto morente. «Ma se anche cambiasse il leader, dopo le Europee, e vedessimo arrivare dal Veneto Luca Zaia o dal Friuli Venezia Giulia Massimiliano Fedriga, che prospettive potrebbero esserci per noi? Probabilmente, cercherebbero di riportare la Lega a essere un partito a trazione nordista», ragiona Marcello Antonelli, presidente del Consiglio comunale a Pescara.
Ora all’orizzonte c’è la Basilicata, dove i più pessimisti nel partito temono di vedere un ulteriore perdita di voti, dal 9% delle Politiche a una percentuale che oscilla «tra il 7 e l’8 per cento».
La difficoltà della Lega nazionale nel Centro-Sud, inoltre, è solo uno dei tre problemi “casalinghi” che in questi giorni affliggono il segretario. Gli altri due hanno a che fare con il Veneto e la Lombardia, le culle del leghismo. Nel Nord Est l’espulsione dell’europarlamentare Toni da Re, colpevole di aver criticato la linea sovranista e di aver dato pubblicamente del “cretino” a Salvini, se da un lato è stato un avvertimento molto forte ai dissidenti interni, dall’altro sta facendo traballare ancora di più il consenso dei luogotenenti salviniani, a cominciare dal segretario regionale Alberto Stefani.
Il clima è teso anche in Lombardia. C’è l’ex segretario regionale Paolo Grimoldi, portavoce del Comitato Nord lanciato da Umberto Bossi, che ieri dopo il risultato abruzzese è tornato a chiedere al segretario un passo di lato perché «o cambiamo finalmente nome togliendo la dicitura “Salvini premier” dal simbolo o alle Europee sarà un tracollo».
Ma ci sono soprattutto le tensioni sul congresso regionale, in stand by da mesi dopo che il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo ha dato la sua disponibilità a candidarsi. In campo, oltre a lui, c’è Fabrizio Cecchetti, attuale commissario e da sempre vicinissimo a Salvini. La base “lumbard” chiede un segnale, ma dalle parti di via Bellerio tutto tace.
Come affrontare questo scontento che dal Nord al Sud investe ormai tutto il partito? Qualcuno ipotizza che Salvini, anche per silenziare le voci di un passaggio di consegne soft a una figura super partes come quella di Roberto Calderoli, o a un triumvirato dei governatori composto da Luca Zaia, Massimiliano Fedriga e Attilio Fontana, potrebbe intervenire sulla governance.
Come? Sacrificando uno dei suoi tre vicesegretari per dare un segnale, se non di rinnovamento, almeno di discontinuità e di maggiore collegialità. Dato che per molte ragioni il ministro del Tesoro Giancarlo Giorgetti non verrebbe coinvolto in queste manovre, a fare un passo indietro potrebbero essere il presidente della Camera Lorenzo Fontana o l’ex assistente di Salvini Andrea Crippa. Per il primo, figura di riferimento del segretario in Veneto, si tratterebbe di un passaggio quasi naturale dato che occupa la terza carica dello Stato.
Al suo posto potrebbe andare un esponente della Liga, magari più vicino agli Zaia boys in rivolta. Chiedere a Crippa di farsi da parte, invece, vorrebbe dire per Salvini rinunciare al suo ariete, sempre in prima linea quando il “capo” non può esporsi in prima persona.
Uno dei nomi che circola, in questo risiko, è quello dell’ex ministro Massimo Garavaglia, oggi presidente della Commissione Finanze del Senato.
(da agenzie)
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