LA MOSSA, IL CAVALIERE E LA STRATEGIA DEL RINVIO: “IN GIUNTA BISOGNA ALLUNGARE I TEMPI”
“RENZI E’ QUINDICI PUNTI AVANTI A ME”. ORA ANCHE LE ELEZIONI FANNO PAURA
Prendere tempo, guadagnare giorni e settimane pur di non arrivare al voto in Senato.
Nella disperazione e nella rabbia di questi giorni, l’unica indicazione che esce da Arcore, dove Berlusconi si è asserragliato in consiglio permanente con i suoi avvocati (tranne Franco Coppi), è quella di evitare l’appuntamento con il destino: il giudizio sull’incandidabilità e la decadenza da senatore.
«Dal giorno dopo – ha detto Berlusconi dando corpo alla sua paura – sarei alla mercè di qualunque Woodcock volesse arrestarmi ».
La strategia del rinvio, adottata dal Cavaliere in mancanza di meglio e in attesa di una decisione sulla richiesta di grazia, intercetta anche il sentimento delle colombe del Pdl. Terrorizzate dalle possibili conseguenze politiche di un voto del Pd a favore della decadenza di Berlusconi da senatore.
Non a caso ieri il ministro Quagliariello, intervistato dall’Ansa, invitava a non precipitare le cose, chiedendo che alla giunta delle immunità di palazzo Madama sia concesso tutto il tempo necessario: «Credo ci siano molte cose da chiarire e approfondire e credo sia interesse di tutti farlo per bene. Non per sottrarsi alla deliberazione, ma perchè essa non abbia esiti predeterminati e avvenga con ogni cognizione di causa».
In realtà che l’esito sia «predeterminato », visti i rapporti di forza, lo sanno tutti.
E tuttavia la questione potrebbe andare per le lunghe, molto per le lunghe.
«Con un po’ di impegno anche fino a dicembre», profetizza uno dei consiglieri del Capo.
Il relatore pidielle Andrea Augello dovrà infatti formulare delle proposte alla giunta, riunita come una camera di consiglio di un tribunale.
Ma se le sue tesi, com’è probabile, dovessero ricevere una bocciatura da parte della maggioranza Pd-Sel-M5S, si potrebbe aprire una trafila lunghissima.
Ed è proprio su questa, che in gergo parlamentare viene definita «procedura di contestazione », che contano i berlusconiani. Dovrebbe essere nominato un nuovo relatore, con tempi non brevi per dargli modo di formulare una nuova proposta.
Poi il Cavaliere avrebbe diritto a intervenire personalmente nella discussione, i suoi avvocati potrebbero richiedere «approfondimenti », poi ci sarebbe il voto in aula. Insomma, un cinema che andrebbe avanti per settimane se non mesi
Un temporeggiamento che servirebbe a scavallare l’ultima finestra elettorale del 2013, quella di fine settembre/ottobre.
Dopo di che il Parlamento sarebbe impegnato con la legge di Stabilità e la crisi di governo sarebbe impensabile. Perchè Berlusconi si sta convincendo che la fretta di una parte del Pd di arrivare al voto a palazzo Madama sulla sua incandidabilità sia legato anche a un piano per far saltare il governo Letta e andare subito al voto.
«Anche se la sinistra è sotto di tre punti rispetto alla nostra coalizione – ha fatto notare Berlusconi con realismo all’ennesimo falco che lo ha chiamato ad Arcore prospettandogli le elezioni anticipate come soluzione ai suoi problemi – Renzi è sempre quindici punti avanti a me nei sondaggi. Loro metterebbero subito da parte le divisioni e si ricompatterebbero sul sindaco di Firenze pur di batterci»
È proprio la convinzione di essere diventato il principale azionista e garante della tenuta del governo Letta che spinge il Cavaliere, in queste ore tormentate, a guardare sempre in direzione del Colle nella speranza di un atto risolutivo. «Io sono sempre stato ai patti – ha ripetuto due giorni fa a un senatore Pdl che ha telefonato a villa San Martino – ma Napolitano non si è mai mosso per me. Non lo ha fatto ai tempi del lodo Alfano, del legittimo impedimento. Ma stavolta si deve inventare qualcosa, non so cosa ma la palla è nelle sue mani».
Questo insistere su un impossibile (soprattutto dopo la nota di Napolitano) quarto grado di giudizio del Quirinale fa cadere le braccia alle colombe che raccolgono gli sfoghi del Cavaliere. Ma rende bene la sensazione di impotenza, la rabbia e il vicolo cieco in cui il leader del Pdl sa di essersi cacciato.
Un falco come Daniele Capezzone dà voce a questa richiesta di un gesto fuori dall’ordinario, la speranza di una sorta di motu proprio quirinalizio: «Il Pdl – dice il presidente della commissione Finanze – ha dimostrato un assoluto senso di responsabilità , ma ora tocca a tutti gli attori politici e istituzionali, per la parte che compete a ciascuno, evitare ferite irrimediabili. La questione è politica, e serve una soluzione politica». Ma nell’attesa l’importante è restare aggrappato al seggio di senatore.
Francesco Bei
(da “La Repubblica”)
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