LA POLITICA DI BERLUSCONI NEL MAGHREB; UN FLOP TOTALE
ERA IL MIGLIOR AMICO DI GHEDDAFI, HA PUNTELLATO BEN ALI IN TUNISIA, HA SOSTENUTO MUBARAK FINO ALL’ULTIMO… SI E’ AFFIDATO A DITTATORI PER IMPEDIRE GLI SBARCHI DI 30.000 IMMIGRATI QUANDO CON ALTRI MEZZI NE ENTRANO 300.000 L’ANNO…ADESSO L’ITALIA STA PER PAGARNE IL PREZZO
Serviranno soldi e autorevolezza.
Due strumenti indispensabili per trattare con i futuri governi di Tunisia ed Egitto. Proprio ciò che manca all’Italia.
Gli sbarchi a Lampedusa e sulle coste della Sicilia di tunisini ed egiziani sono la prima linea di un fallimento. I soldi scarseggiano, altro che “piano Marshall” del Maghreb.
E l’autorevolezza, se mai ne avevamo ancora, è stata sepolta sotto i festini bunga bunga di Arcore.
Immaginate la reputazione di Silvio Berlusconi: lui che va al Cairo a trattare con la fama di aver fatto passare una prostituta minorenne per nipote del rais deposto Hosni Mubarak.
Oppure l’affidabilità del ministro dell’Interno, Roberto Maroni, in missione a Tunisi in nome di un Paese che ha armato con storditori elettrici e tecnologia da 007 la polizia dell’odiato presidente Zine El Abidine Ben Alì.
Perfino un documento riservato della Protezione civile, scoperto da “L’espresso”, già il 9 dicembre 2010 segnala a Palazzo Chigi l’impreparazione a una eventuale emergenza a Lampedusa: “Fortuna vuole che attualmente arrivano pochi barconi, sei o sette negli ultimi quattro mesi”, scrive l’Ufficio gestione emergenze, “ma se dovessero improvvisamente aumentare ci troveremmo del tutto impreparati e impossibilitati a dare una pronta risposta alla gestione dell’emergenza”.
Più o meno la stessa frase riappare in un nuovo appunto, “Aggiornamento situazione Lampedusa”, firmato il 25 gennaio scorso dal direttore dell’Ufficio gestione emergenze, Fabrizio Curcio.
Quarantasette giorni dopo la prima lettera e sette anni dopo la dichiarazione dello stato di emergenza, proclamato il 23 dicembre 2003 e prorogato al 31 dicembre 2010 al costo di decine di milioni, eravamo ancora impreparati.
Dal 2001 il governo italiano è sceso a patti con le peggiori dittature del Mediterraneo.
Abbiamo puntellato il regime di Ben Alì con le trattative del 2003 e del 2004 in cambio del blocco delle partenze clandestine per l’Italia.
E il traffico di immigrati si è spostato in Libia.
Allora, dal 2004 al 2009, abbiamo firmato contratti economici e di polizia con l’altro dittatore della regione, Muhammar Gheddafi.
E i viaggi della speranza si sono trasferiti a Est. Nel frattempo ci siamo rivolti all’Egitto, ottenendo accordi per il rimpatrio dei cittadini egiziani sorpresi in Italia senza i documenti in regola, gli unici effettivamente espulsi.
E ci siamo accontentati.
Abbiamo ignorato la voglia di democrazia di milioni di persone.
Abbiamo finto di non sapere delle migliaia di morti in mare tra quanti cercavano la nostra democrazia.
Abbiamo calpestato le fosse comuni nelle quali il regime di Tripoli ha nascosto i cadaveri arrivati a riva ( leggi).
Sarebbe bastato guardare meglio l’anno di nascita dei tiranni amici per preoccuparsi un po’ di più: 1936 per Ben Alì, stessa età di Berlusconi; 1942 per Gheddafi; 1928 per Mubarak.
E poi porsi una domanda: cosa succederà dopo di loro?
Limitare quello che sta accadendo nelle ultime due settimane tra le coste tunisine e Lampedusa a una questione di immigrazione, sarebbe riduttivo.
Le fughe in massa dalla Tunisia su barche e pescherecci sono la reazione a anni di repressione della libertà .
Proprio quello che il governo Berlusconi, e la maggior parte dei cittadini italiani che gli hanno dato consenso, hanno fatto finta di non vedere.
Una bomba a orologeria che ora è esplosa.
E siamo solo all’inizio.
La prospettiva di altri arrivi in massa è più che fondata.
Persone che approfittano della situazione di caos per raggiungere l’Europa.
Tra loro molti poliziotti di Ben Alì che dopo le manifestazioni, per paura, si sono tolti la divisa e ora cercano asilo.
A Chaffar, spiaggia storica delle partenze per Lampedusa, si racconta che esistono due tipi di tunisini: quelli emigrati in Italia e quelli che vorrebbero emigrare in Italia.
Un progetto che gli accordi di polizia tra Roma e Tunisi di sette anni fa hanno solo rinviato.
“Un parametro indicatore di quello che succederà “è il valore dell’euro.
Prima della fuga in Arabia Saudita di Ben Alì le banche cambiavano 190 dinari per 100 euro e per la stessa somma il mercato nero chiedeva 194 dinari.
Oggi gli euro sono introvabili in banca e cento euro valgono ben 250 dinari. Significa che migliaia di tunisini stanno cambiando soldi per partire”.
E alle porte ci sono gli arrivi dalla Libia…
Fabrizio Gatti
(da “L’Espresso“)
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