LA POLITICA ITALIANA DIVISA SUL VOTO USA: RENZI TIFA HILLARY, I GRILLINI STARANNO CON CHI VINCE, BERLUSCONI NON VOTEREBBE TRUMP, SALVINI SPERA IN UN’ALTRA FOTO TAROCCO CON IL MAGNATE
TRUMP NON RACCOGLIE MOLTI CONSENSI NELLA POLITICA ITALIANA, NEANCHE A DESTRA
Da che mondo e mondo le elezioni americane calamitano l’attenzione e la passione della classe politica italiana, con leader e partiti pronti a schierarsi e a rivedersi, magari perdendo un poco il senso della misura, con i candidati d’oltreoceano.
Ma questa volta la passione cala, le posizioni sfumano, gli endorsement scarseggiano e salvo rare eccezioni vengono pronunciati sottovoce.
Renzi non può che schierarsi con Obama, modello politico e prezioso alleato che gli ha regalato gli onori della Dinner State a Washington, e il Partito democratico Usa.
E dunque Matteo Renzi in diverse occasioni si è apertamente schierato con Hillary Clinton, unico tra i leader europei che si è arrischiato a prendere posizione pubblicamente sul voto per la Casa Bianca.
Ma il capo del governo non si è limitato a questo, ha anche trasformato Trump nell’icona di ciò che la politica non deve essere. Per Renzi il candidato repubblicano incarna la politica della paura, dei populismi, di chi gioca con le ansie e il pessimismo degli elettori per lucrare nelle urne.
Insomma, se vincesse il tycoon newyorkese sarebbe “un disastro”.
A Trump – che Renzi vive come la versione americana di Grillo, Salvini e Le Pen – il premier concede solo l’ovvia garanzia di invitarlo al G7 che presiederà a Taormina nel giugno del 2017.
Sul fronte opposto, à§a va sans dire, Matteo Salvini, che punta tutto su The Donald. Nonostante la gaffe sull’incontro in terra americana sbandierato dal leader del Carroccio e smentito da Trump, il capo leghista annuncia che farà notte per seguire lo spoglio elettorale Usa, naturalmente tifando per il repubblicano.
I seguaci di Trump sperano che Salvini non porti la solita sfiga, visti i precedenti.
E il “putinismo” nel caso di Salvini aiuta a spiegare la posizione assunta dal numero uno della Lega sulle elezioni statunitensi.
Spiazza invece la posizione del Movimento Cinquestelle, che nonostante le ambizioni di governo si astiene anche sulle elezioni Usa.
In questo caso amicizie comuni e affinità politiche non bastano a far prendere posizione ai seguaci di Grillo.
Non è determinante il “putinismo” dei pentastellati, grandi amici del leader russo, così come la tendenza “grillina” di Trump, le cui dichiarazioni antisistema e anticasta non hanno nulla da invidiare a quelle del Movimento, non invoglia l’M5S a sposarne la causa. Anzi.
Se lo scorso aprile Beppe Grillo si era lasciato sfuggire che “forse (Trump, ndr) è meno peggio della Clinton, però se è quello che esprimono oggi gli Stati Uniti non è una cosa straordinaria”, nei mesi successivi il tema è scivolato in fondo agli argomenti trattati dalla pattuglia cinquestelle.
Ora il tema diventa ineludibile e il deputato Manlio Di Stefano, specialista in affari esteri del Movimento, guida di Luigi Di Maio nelle trasferte all’estero nonchè già ospite al congresso di Russia Unita, il partito di Putin, la spiega così: “Mi suiciderei piuttosto che votare uno di quei due, uno gli rovinerebbe la vita internamente, l’altra li porterebbe alla terza guerra mondiale”.
E il mezzo endorsement di Grillo a Trump allora? I grillini lo spiegano così: “Pensava più all’aspetto di rottura, come quando mette sul blog Orbà n enfatizzando gli aspetti di rottura, ma non perchè condivida quell’impostazione.”
Insomma, si aspetta di vedere chi vince per schierarsi.
A sorpresa anche Silvio Berlusconi e Forza Italia non hanno le idee chiare e non basta la comune amicizia con Putin a spostare l’ex premier su Trump.
Così come la lusinga di essere descritto come modello del Tycoon americano non ha convinto Berlusconi a sposarne la candidatura.
Al contrario, le uniche parole pubbliche dell’ex Cavaliere sulle elezioni americane, pronunciate sei mesi fa, recitano: “Trump è un incrocio tra Grillo e Salvini, mi stupisce che la prima democrazia del mondo non sia stata in grado di mettere in campo protagonisti migliori”.
Dunque l’ex premier “tradisce” lo storico alleato rappresentato dal partito repubblicano? Sì, ma non del tutto, perchè per Berlusconi schierarsi con Hillary è complicato, vuoi per l’appartenenza assimilabile al centrosinistra dell’ex segretario di Stato, vuoi per le legnate che l’aministrazione democratica nel 2010 ha regalato all’allora presidente del Consiglio tramite Wikileaks ed al recente racconto nel quale Hillary ironizzava su un Berlusconi in lacrime nel momento in cui lei si scusava per la gaffe diplomatica.
E così anche Forza Italia appare disorientata dalla mancata presa di posizione del leader e dalla rottura con gli amici repubblicani.
Da un lato Brunetta parla di “candidati poco credibili” e confida che le istituzioni Usa siano capaci di trasformare in un buon presidente chiunque venga eletto, dall’altro Giovanni Toti si schiera con Trump: “Spero che vinca lui, la Clinton sarebbe fallimentare”.
Povero Toti, come si è ridotto per mantenere lo stipendio da governatore della Liguria, un vero maggiordomo della Lega.
(da agenzie)
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