LA PROCURA DI MILANO INDAGA SULLA LEGA: SOLDI USCITI DA MULTINAZIONALI E CONSULENZE USATE PER ELARGIRE UN FIUME DI MILIONI
“TOSI E GOBBO SAPEVANO”… VERSAMENTI PER AMENO 10 MILIONI DI EURO
La Procura di Milano indaga da più di un anno su un giro di presunte tangenti che potrebbe collegare i vecchi e i nuovi vertici della Lega Nord.
Soldi sospetti, usciti dalla casse di multinazionali come la Siram, un colosso francese degli appalti di energia e calore, o di grandi aziende italiane come il gruppo statale Fincantieri. Versamenti per almeno dieci milioni di euro, fatturati come consulenze considerate molto anomale, che risultano incassati da due distinte cordate di faccendieri e politici, tutti legati ai vertici del Carroccio in Veneto.
Le carte giudiziarie più scottanti sono ancora segrete, ma gli atti già depositati nel primo processo all’ex tesoriere della Lega, Francesco Belsito, arrestato nell’aprile 2013 e reo confesso, disegnano un quadro accusatorio che, se verrà confermato, potrebbe rappresentare il pezzo mancante della maxi-inchiesta sul Mose.
Le tangenti per almeno 25 milioni distribuite dalle aziende del Consorzio Venezia Nuova, infatti, hanno arricchito politici di Forza Italia e del Pd veneziano, mentre la Lega ne risulta del tutto estranea, come ha rivendicato il governatore Luca Zaia.
Ora però si scopre che l’ex cassiere Belsito e il suo consulente Stefano Bonet hanno accusato proprio i big veneti del Carroccio, in particolare il sindaco di Verona, Flavio Tosi, e l’ex primo cittadino di Treviso, Giancarlo Gobbo, di aver quantomeno avallato un sistema di finanziamento parallelo ed esclusivo: un giro di soldi gestito da faccendieri ed ex parlamentari leghisti.
Come Enrico Cavaliere, deputato dal 1994 al 2000, poi presidente del consiglio regionale veneto fino al 2005, quindi condannato in primo grado per la bancarotta di un fallimentare progetto edilizio da 2.300 appartamenti in Croazia.
O come Stefano Lombardelli, ex dirigente ligure di Fincantieri (di cui Belsito era consigliere d’amministrazione in quota Lega), fuggito in Libia e ormai latitante da più di un anno.
Alla base della nuova inchiesta ci sono le confessioni dei primi arrestati. Belsito è il faccendiere genovese che fu nominato tesoriere nazionale dal padre fondatore della Lega, l’onorevole Umberto Bossi.
Già nell’aprile 2012 aveva ammesso di aver gestito anni di ruberie private sui finanziamenti statali al partito.
Ora, nell’atto d’accusa del suo primo processo, Belsito è imputato di aver intascato due milioni e 401 mila euro e di aver dirottato altri fondi pubblici per pagare spese personali di Umberto Bossi (208 mila euro), dei suoi figli Riccardo (157 mila) e Renzo (145 mila) e della sindacalista padana Rosy Mauro (99 mila), vicepresidente del Senato fino al 2013.
Quel gran pezzo di storia padana, sul piano politico, si è chiuso con il sofferto passaggio del Carroccio nelle mani dell’ex ministro Roberto Maroni, oggi governatore lombardo, e dei suoi alleati, decisi a spazzare via l’era dei rimborsi-truffa.
Scongiurando così anche il pericolo che la Lega dovesse restituire ben 57 milioni di contributi elettorali ritenuti irregolari.
Belsito si era tradito tra il 28 e il 30 dicembre 2011, quando cercò di trasferire 5,7 milioni di euro a Cipro e in Tanzania, dove però la banca africana rifiutò i soldi del partito padano, segnalando un sospetto riciclaggio di tangenti.
Come spalla finanziaria, l’ex tesoriere leghista si era affidato a un consulente veneto, Stefano Bonet, poi arrestato con lui.
Bonet è il titolare di una società , chiamata Polare, che è riuscito a far accreditare come «organismo di ricerca»: una ditta privata che, grazie a una favolosa legge italiana, può certificare le innovazioni industriali e far ottenere ad altre aziende ricchi crediti d’imposta.
Secondo i magistrati, la Polare avrebbe emesso fatture false per 18 milioni di euro a favore della Siram, che con quelle triangolazioni avrebbe abbattuto le tasse da pagare in Italia.
La nuova indagine sulla Lega nasce dai documenti e archivi informatici sequestrati nel 2013 nelle sedi della Siram, della Polare e di altre ditte venete.
Il primo a parlare di presunti «rapporti illeciti» tra Lega e Siram, ma soltanto dopo l’arresto e quelle perquisizioni a sorpresa, è proprio Belsito: «Bonet e Lombardelli mi dissero che la Lega del Veneto aveva chiesto denari, da versare a una società di Cavaliere e del suo socio, Claudio Giorgio Boni, come percentuale dei guadagni della Siram. Fui io a transare l’importo finale.
Ho trattato personalmente con Boni, che mi disse che Cavaliere aveva avuto l’ok da Tosi a chiudere per un milione. Boni mi assicurò più volte che lui e Cavaliere agivano per conto del sindaco di Verona».
Belsito sostiene che nella Lega, almeno fino al 2011, sarebbero esistiti due livelli di finanziamento illecito, locale e nazionale (anzi, «federale»), come succedeva nei partiti della Prima Repubblica. Il tesoriere doveva rivolgersi ai vertici proprio per capire a chi spettassero i soldi della Siram.
«L’autorizzazione a chiudere a un milione l’ho avuta direttamente da Bossi, che mi disse che era roba dei veneti», dichiara Belsito, che aggiunge: «Ne parlai anche con Gobbo e Zaia, che non fecero alcun commento, mentre Roberto Calderoli mi disse di stare tranquillo e non fare denuncia».
Nel settembre 2013, dopo tre mesi di carcere, anche Stefano Bonet vuota il sacco e aggiunge altri particolari: «L’ex onorevole Cavaliere e il suo socio ligure, Boni, erano importanti procacciatori d’affari per la Siram. Nel 2010 pretendevano due milioni dalla mia Polare. Fu la Siram ad accollarsi anche questa loro pretesa, per non compromettere i rapporti con la politica e i propri interessi nella sanità in Veneto. Cavaliere infatti era legato al sindaco Tosi e si occupava dei finanziamenti alla Lega. Questo mi fu riferito dagli stessi Cavaliere e Boni, di fronte a dirigenti della Siram».
Fin qui sono soltanto parole di due arrestati che in teoria potrebbero anche aver tramato false manovre per screditare quei leghisti puliti che li avevano già scaricati.
I documenti sequestrati dalla Guardia di Finanza, però, confermano che Cavaliere ha effettivamente incassato mezzo milione di euro (più Iva) e il suo socio Boni altri 350 mila (sempre netti).
Nel novembre 2013, quando viene indagato e perquisito per quei bonifici, l’ex onorevole accusa i pm di aver fatto un gravissimo errore: Cavaliere e Boni giurano di aver fornito vere consulenze alla Polare, per cui quel milione lordo sarebbe semplicemente una loro regolarissima liquidazione.
Il problema è che la società di Bonet aveva appena ricevuto esattamente gli stessi soldi dalla Siram. Di qui la conclusione dei pm: la multinazionale francese ha usato la ditta di Bonet per pagare con una triangolazione, cioè senza comparire direttamente, quei due «procacciatori di appalti» legati alla politica.
Nelle sue confessioni, Bonet aggiunge che la Siram non poteva dire di no alla Lega Nord, perchè non voleva perdere due appalti colossali con la sanità veneta.
E a questo punto rivela di aver partecipato a un incontro delicatissimo nel municipio di Treviso: «Oltre a me, erano presenti due dirigenti della Siram e, per la Lega, Gianpaolo Gobbo, allora sindaco, Lombardelli e Belsito.
Lombardelli alla fine rimase solo con il sindaco e dopo l’incontro mi disse che era stata già concordata la somma di cinque milioni di euro per pagare la politica, e segnatamente Gobbo, perchè a Treviso non si muove nulla se la Lega non vuole».
Ma se gli appalti sanitari li assegnano i tecnici delle Asl, che bisogno avevano i manager di un’azienda privata di incontrare i politici di Treviso insieme ai tesorieri e faccendieri leghisti? L’unica certezza per ora è che la Siram proprio nel 2011, dopo una tornata di gare costellate di irregolarità e per questo durate tre anni, ha vinto davvero due maxi-appalti decennali per le forniture di calore agli ospedali veneti: l’Asl di Treviso si è impegnata a versarle ben 260 milioni di euro, quella di Venezia altri 241 milioni
Bonet, negli interrogatori in carcere, precisa di poter parlare solo di quell’incontro preparatorio, ma giura di non sapere se i presunti cinque milioni li abbia poi incassati veramente Gobbo, oppure Lombardelli «che voleva il suo 5 per cento» o magari altri leghisti.
Alla fine del 2011, infatti, i dirigenti italiani della Siram hanno escluso Bonet dai rapporti con i politici, spiegandogli però che al suo posto sarebbe subentrata un’altra società di consulenza. Forse è solo una coincidenza, o forse no, fatto sta che nello stesso periodo la Siram e altre grandi aziende interessate a vincere appalti (soprattutto in Veneto e in Liguria) hanno versato molti altri soldi a un nuovo «organismo di ricerca», chiamato Care, fondato proprio da Boni e Cavaliere, che nel frattempo incassavano ricchissime consulenze anche tramite le loro società Matco, Leb e Archimedia.
Consulenze molto singolari: tariffe del tre per cento che le aziende private pagano solo in caso di effettiva aggiudicazione di appalti pubblici.
Nonostante le ricadute dello scandalo Belsito e l’iscrizione tra gli indagati per l’affare Bonet-Siram, l’ex onorevole Cavaliere resta molto amico del sindaco Tosi, almeno per ora.
E conserva ottimi agganci con i vertici del suo partito, tanto da figurare ancora all’inizio del 2014 nel «collegio dei probiviri» della Lega.
Paolo Biondani
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