LA RABBIA DELLA POLIZIA PENITENZIARIA IN ALBANIA: “NOI NEI CONTAINER, LA POLIZIA NEL LUSSO”
I SINDACATI: “GLI ACCORDI CON IL GOVERNO NON ERANO QUESTI, QUA NON SPRECO INDECENTE”
Su in collina, un pugno di agenti di polizia penitenziaria isolati dal mondo nei prefabbricati. Giù al mare, tutti gli altri negli hotel a cinque stelle: carabinieri, poliziotti e finanzieri, come in una gita scolastica perpetua.
A Gjader, reclusi nei container di un minicarcere d’esportazione non c’è nessuno da sorvegliare. Confinati nell’ultima parte di un centro di permanenza e rimpatrio per migranti più che mai vuoto e desolato, le guardie intorno a loro hanno il nulla. Ce ne sono undici, attualmente, che vivono così. «Dovrebbero essere quindici, ma qualcuno ha ottenuto il permesso per rientrare in Italia», spiega Gennarino De Fazio, della Uilpa. Il sindacalista denuncia il paradosso: «Qui a regime sono previsti quarantacinque agenti, uno ogni due detenuti e mezzo. Il contrario che in Italia, dove ne sono previsti due mezzo per ogni detenuto ma nella realtà ci sono carceri dove un singolo collega ne sorveglia cento». In Albania, i baschi azzurri alloggiano in stanze multiple, al secondo piano del prefabbricato che dovrebbe ospitare i migranti autori di reati. Un’eventualità nell’eventualità, perché al momento non c’è neanche chi possa commetterli. Per andare a dormire salgono da una scala metallica grigia, simile a una scala d’emergenza. E per ammazzare il tempo, nella stanza relax dove le sedie sono state prese dalle celle vuote del cpr, hanno una sola tv, come in certi ospedali.
Uscire per fare due passi? E dove vai? Intorno un deserto di alberi, melograni e pecore. E un cantiere infinito da cui entrano ed escono camion per l’ampliamento del centro fantasma. Al massimo si può raggiungere il villaggio, che ha un piccolo bar, un negozietto di generi alimentari, un fruttivendolo con le cipolle che invadono il marciapiedi: la movida è tutta qui, anziani che trascorrono le giornate a bere birra e fumare. E a berciare contro i governanti.
Grande invidia per poliziotti, carabinieri e finanzieri. Loro sono giù a Shengjjin, dove ancora si può andare al mare di Rana e Hedhun, una delle più belle distese di dune dell’Albania. La maggior parte dorme nell’hotel a cinquestelle Rafaelo executive: lì si fa un’ottima colazione e si cena anche bene. Se vuoi cambiare, non hai che la scelta: Goga Fish, o la trattoria marinaresca Detari, o altri posti ancora dove con venti euro mangi un signor pesce. Se invece resti in albergo, la tv è in ogni stanza. Al mattino puoi fare un tuffo in piscina. Fuori ci sono i taxi, 5 o 10 euro e arrivi a Lezhe, dove c’è qualche locale serale in più, perfino un night club. Anche i poliziotti, però, sono stanchi di andare in giro: «Questa estate c’era lo struscio, sul lungomare di Shengjjin», racconta Zef, un residente emigrato in Italia. «Ora un cuoco mi ha detto che non si cucina neanche più come prima».
Ormai la ragione della loro presenza, i migranti da accogliere nell’hotspot del porto e da trasferire a Gjader, è dall’altra parte dell’Adriatico. A Bari, nel centro di accoglienza per richiedenti asilo. Gli avvocati denunciano che alcuni di loro sono molto vulnerabili: un bengalese ha detto di voler togliersi la vita e il suo avvocato, Paolo Iafrate, è preoccupato. Tra i poliziotti di stanza a Shengjjin, invece, il passaggio dei naufraghi è il ricordo di un evento che ha interrotto la monotonia dorata della vita in hotel. Ancora più fugace è stata l’apparizione per i penitenziari. Che adesso si paragonano a loro: «Stiamo esportando caporalato — dice De Fazio — certo, è un’iperbole. Ma è anche vero che la polizia penitenziaria è alloggiata in situazioni peggiori di quelle previste, esattamente come si fa con i migranti». Il sindacato ha scritto a tutti i vertici dell’amministrazione penitenziaria e ora si rivolge a Giorgia Meloni: «Le condizioni concordate con il sottosegretario Andrea Delmastro non erano affatto queste. E in un corpo che ha 18mila unità in meno rispetto al fabbisogno, mandarne 45 in Albania è uno spreco indecente».
(da La Repubblica)
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