LA REPRESSIONE DEL REGIME COMUNISTA CINESE AD KONG KONG MENTRE IL POPOLO GRIDA “INDIPENDENZA”
DOVE SONO I SOVRANISTI E I LEONI DA TASTIERA CHE COMBATTONO “I COMUNISTI” SORSEGGIANDO APERITIVI?… UNA VOLTA LA DESTRA VERA SI SAREBBE MOBILITATA PER DIFENDERE LA LIBERTA’ DI UN POPOLO
All’uscita della metropolitana di Causeway Bay la visibilità è pari a zero. Una coltre di fumo denso – fumo dei gas lacrimogeni, che fa lacrimare terribilmente gli occhi – impedisce la vista.
La gente scappa cercando rifugio nella stazione, tossendo e coprendosi gli occhi in qualche modo, con le magliette che indossa o con i fazzoletti, salvo poi tornare indietro precipitosamente quando, nell’area di fronte ai tornelli, si trova davanti un muro di poliziotti in assetto antisommossa, che picchiano e caricano senza guardare in faccia nessuno.
Fuori, in strada, a qualche centinaio di metri di distanza, un altro muro, questa volta di gente di ogni tipo: manifestanti in nero, ma anche tante persone qualunque, normali, che urlano insulti alla polizia e gli slogan tipici della protesta.
Che in questi ultimi giorni, però, sono cambiati, radicalmente cambiati rispetto a quelli dei primi tempi, ormai a un anno fa, che dicevano: “Se noi bruciamo, bruci con noi!”, “Liberate Hong Kong!”, “Non potete ucciderci tutti!”.
Adesso la gente di Hong Kong, esasperata — e anche impaurita – dalla minaccia incombente rappresentata dalla nuova legge sulla “Sicurezza nazionale” che il governo di Pechino pare fermamente intenzionato a imporre all’ex colonia, urla proprio quella parola che suona come un bestemmia laica, alle orecchie dei dirigenti del PCC, il Partito Comunista Cinese, che sta per abbattere sulla città un pugno di ferro mai visto prima: “Indipendenza!”: la gente grida “l’unica soluzione è l’indipendenza!
Venti minuti di botte da orbi, poi la polizia si ritira e a terra restano in due, mentre gli agenti schiacciano i loro volti sull’asfalto per tenerli fermi e ammanettarli. Quando li portano via, uno ha il volto insanguinato, l’altro sta zitto, i lunghi capelli neri, dritti, così cinesi, gli ricadono sul volto infantile.
Gli occhi di entrambi però sono indomiti, pieni di odio verso i poliziotti, che per loro incarnano tutta l’esecrabilità della prepotenza del potere cinese.
Sono i simboli del potere schiacciante di Pechino, che nel corso degli ultimi vent’anni, dopo il ritorno alla Cina dell’ex-colonia britannica, si è guadagnato un crescendo di risentimento ormai tramutatosi apertamente in odio.
Causeway Bay è un quartiere piuttosto elegante, diciamo pure lussuoso, pieno di negozi costosi e frequentato dalla borghesia medio alta di Hong Kong. Da molti mesi ormai è anche il teatro — uno dei teatri — delle proteste anti-Pechino, inizialmente pacifiche, oceaniche, poi man mano sempre più dure, violente, disperate.
Una sorta di “guerriglia urbana” che cerca di prendere di sorpresa la polizia con una tattica che si potrebbe definire di “guerriglia-flash mob”; gruppetti di manifestanti che si riuniscono muovendosi con rapidità in punti diversi della città . Si tengono al corrente su dove spostarsi attraverso una app che usa gli hot spot wifi disseminati ovunque a Hong Kong e anche utilizzando i singoli Bluetooth dei telefonini.
Tutti lasciano i loro Bluetooth “aperti” ai messaggi in arrivo, che in questo modo si spargono a macchia d’olio da uno smartphone all’altro, evitando di venire bloccati o disturbati dalla polizia e dalla censura governativa, come è accaduto in passato con la rete internet.
Oggi la gente – studenti e sindacati – sono tornati di nuovo in strada per bloccare l’iter, “la seconda lettura”, della legge contro il vilipendio dell’inno cinese, che prevede multe salate e la detenzione fino a tre anni per chi insulta o fa un uso “irrispettoso o improprio” della “Marcia dei Volontari”.
Direttive specifiche verrebbero anche imposte alla scuola e all’intero settore dell’istruzione. Ma le sanzioni contro il vilipendio dell’inno sarebbero poca cosa rispetto a ciò che potrebbe fare Pechino — in termini di repressione del dissenso e delle libertà fondamentali — dopo l’entrata in vigore della proposta di legge liberticida sulla “Sicurezza nazionale”, il cui iter approvativo procede spedito al Congresso del Popolo in corso a Pechino.
Raggiunto in audio via Whastapp dall’Italia, Vince — un caro amico che conosco da anni, e che so essere uno dei “leader” della rivolta (anche se lui preferisce dire che la rivolta “è della gente di Hong Kong, e non ha leader”) — dopo avermi ricordato di non usare mai il suo vero nome quando lo cito nei miei articoli, e dopo avermi raccontato gli scontri di oggi a Causeway Bay, con un filo di voce mi chiede: “ma in Italia la gente parla di noi?” “Secondo te l’Unione Europea prenderà una posizione contro la Cina su questa legge?” “Tu sei un po’ di Hong Kong ormai, e lo sai che se passa questa legge per la città sarà la fine…”
Vince è uno dei tanti “insospettabili” che formano la massa umana che si oppone a Pechino nell’ex colonia britannica. Uno dei tanti che si toglie il vestito scuro e la cravatta che indossa ogni giorno per lavorare nella “city” di Hong Kong e indossa maglietta e jeans neri, protezioni e maschera antigas e si unisce agli altri.
Non c’è risposta da dargli, perchè l’Unione Europea appare molto lontana dal prendere una posizione decisa sulla vicenda. E persino il governo britannico, che sarebbe diretta parte in causa, in quanto firmatario degli accordi con la Cina che regolamentano il ritorno di Hong Kong sotto la sovranità di Pechino nel 1997, appare afono.
Unica reazione odierna a Londra, quella dell’Ofcom, l’autorità indipendente che regola le società di comunicazione nel Regno Unito, secondo la quale il network CGTN, il notiziario in lingua inglese controllato dal governo cinese, non ha riportato oggettivamente i fatti di Hong Kong violando le norme locali.
L’emittente si è giustificata ammettendo il suo imbarazzo nel coprire le proteste, in quanto media statale, e adesso potrebbe andare incontro a sanzioni amministrative e forse alla sospensione del servizio oltremanica. Un dettaglio da poco, comunque, nella lunga marcia dei media cinesi per la diffusione della propaganda di Pechino all’estero.
“Pechino a Hong Kong non cederà mai su una cosa: la democrazia. Al governo questa parola la temono e soprattutto temono che — se lasciata libera di “espandersi” nell’ex colonia- questa che per loro è un’”infezione”, contagerà la Cina più del virus del Covid-19” dice all’HuffPost Padre Bernardo Cervellera, direttore dell’Agenzia di Stampa cattolica “Asia News” e grande conoscitore del continente-Cina e di Hong Kong in particolare.
Già , ma il Vaticano, Papa Francesco – sono in tanti a domandarselo – sempre così attento alle istanze dei popoli, alle garanzie di libertà e rispetto degli individui, perchè non fa sentire la sua voce alta e chiara su quanto sta facendo la Cina a Hong Kong? gli chiedo: “Papa Francesco sa bene che Hong Kong è un “punto dolente” nei rapporti con Pechino” risponde Padre Bernardo, “per il Papa evangelizzare la Cina è importante, perchè significa portare spiritualità in una società basata su una economia fortissima, e fortissimamente materialista. Inoltre, sul piano internazionale, Francesco ha una visione geopolitica che si potrebbe definire “multipolare”, dove non ci dovrebbe essere una singola potenza che prevale sulle altre. E poi, in ogni caso” conclude Padre Cervellera, “lui è abituato a delegare e a lasciare libertà all’iniziativa e alle scelte dei singoli, infatti, il movimento ha visto il sostegno forte dell’amministratore apostolico a Hong Kong, fin da subito, lo scorso anno”.
Intanto Xi Jinping e i suoi, riuniti a congresso, vanno avanti spediti, apparentemente incuranti delle voci critiche che si alzano — timide — dal mondo occidentale. Il portavoce del ministero degli Esteri, Zhao Lijian, ha reagito duramente, dicendo tra l’altro: “Gli Stati Uniti hanno decine di leggi per proteggere la propria sicurezza nazionale, ma vogliono interferire. Questa doppio standard dimostra le sinistre intenzioni degli Usa”
Trump, per tutta risposta, ha annunciato “qualcosa di molto potente” contro la Cina. Ma le sue dichiarazioni suonano, come al solito, più proclami elettorali che minacce reali in grado di impensierire Pechino. Troppi, infatti, i legami a doppio filo tra le due economie più forti del Mondo, troppi gli interessi globali che vedono coinvolta la Cina e che rischiano di trasformare in un pericoloso boomerang qualsiasi azione decisa nei suoi confronti…
C’è un detto cinese – attribuito a volte al fondatore del taoismo, Laozi, a volte a Confucio – che recita: “Nel momento in cui vedi una zanzara posarsi sui tuoi testicoli, ti rendi conto che ci sono mezzi diversi dalla violenza per risolvere i problemi”. Lo conoscerà Trump?
(da Huffingtonpost”)
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