LA SCRITTURA A MANO È COME IL PANDA: È IN VIA D’ESTINZIONE, ADDIO ALLE LETTERE E AI TEMI SCRITTI A MANO: I NOSTRI STUDENTI NON SONO IN GRADO DI USCIRE DALLA SCHIAVITÙ DELLO STAMPATELLO, SCRIVONO IN MANIERA INCOMPRENSIBILE
NON ALLENANO MAI IL CORSIVO E I CASI DI DISGRAFIA SONO AUMENTATI DEL 163% IN DIECI ANNI… MA SE SI SCRIVE PEGGIO, SI LEGGE PEGGIO, I TESTI SI CAPISCONO MENO E LA LINGUA S’IMPOVERISCE
«Cara nonna, mi spiace che tu non stia bene. Ti auguro di riprenderti presto», firmato Carlo. Ossia re Carlo III, a sette anni, nel 1955. La lettera di pronta guarigione del sovrano britannico alla Regina Madre malata è stata riesumata in questi giorni, per la sua calligrafia scolastica, tonda e spaziosa. «Come dovrebbero fare i bambini di oggi. Invece — lamenta il Telegraph — non sanno più scrivere a mano. E se lo fanno, le parole sono incomprensibili. Non si capisce nulla».
Provate a prendere un diario delle elementari reintrodotto su mandato ministeriale di Giuseppe Valditara: a furia di battere sui tasti e digitare sullo schermo si è perso il fiocco della “f”, il nodo della “g”, le gobbe della “m”. Il corsivo è un panda, in via d’estinzione.
Lo si impara e lo si abbandona, nel grande salto verso la scrittura digitale. «Un grave errore», sostiene Paolo D’Achille, presidente della Crusca, «perché la scrittura a mano coinvolge tutto il corpo e consente un’interiorizzazione del segno linguistico non raggiungibile con una tastiera ». E invece, nel declino della calligrafia, uno studente su cinque della primaria fa fatica a uscire dallo stampatello […] I casi di disgrafia, sostiene l’Osservatorio carta, penna e digitale della Fondazione Einaudi, sono aumentati del 163% in dieci anni.
Se si scrive peggio, si legge peggio, i testi si capiscono meno e la lingua s’impoverisce, la colpa «potrebbe essere proprio del precoce abbandono della scrittura a mano », dice la Crusca. Perché, sì, la digitazione su tastiera è più rapida, ma «la scrittura a mano promuove lo sviluppo cerebrale, l’apprendimento e la creatività», spiega il neurologo Antonio Suppa. Ha a che fare anche con la memoria
In Norvegia, Usa e Giappone, studi scientifici hanno dimostrato che impugnare una penna, fare pressione su un foglio e creare lettere sia «un’azione cognitivo-motoria che richiede molta più attenzione di computare, quindi le nozioni si memorizzano più facilmente».
C’è poi un aspetto della scrittura manuale che ha a che fare con ognuno di noi. Per la grafologa Valeria Angelini «è un’espressione unica e irripetibile di una persona.
Ogni tratto di penna racconta caratteristiche di chi scrive: la pressione della mano, il ritmo, la fluidità, le variazioni nello stile».
(da agenzie)
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