LA SICILIA SI STA TRASFORMANDO IN UN DESERTO: ACQUA RAZIONATA A CAUSA DELLA SICCITA’
ANCHE A PALERMO DA LUNEDI RUBINETTI A SECCO PER ALCUNE ORE. SI DISCUTONO PIANI PER NAVI CISTERNA E DISSALATORI
La Sicilia è travolta da una siccità che non accenna a placarsi. Il simbolo dell’emergenza è il lago di Pergusa, in provincia di Enna. Si tratta di un piccolo bacino salmastro, unico lago naturale dell’isola. Si alimenta con l’acqua piovana, di norma. Ma dopo mesi senza pioggie e con temperature record l’acqua non c’è più. Sui social impazzano le foto del lago vuoto, ridotto a terra e fango. Dal 22 luglio inizierà il razionamento dell’acqua a Palermo per uso domestico.
Il livello degli invasi siciliani, le riserve d’acqua di una regione priva di ghiacciai, è più basso del 50% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. In dodici mesi si sono persi 261 milioni di metri cubi, e ci sono bacini dove il riempimento è sotto del 90%. Il Consiglio dei Ministri da maggio ha dichiarato lo stato di emergenza per l’isola, stanziando contestualmente venti milioni di euro per rispondere alla crisi. Il presidente Schifani, però, di milioni ne aveva chiesti 130. La Regione ha annunciato l’intenzione di riaprire a Porto Empedocle un dissalatore – un impianto che rende potabile l’acqua marina– e ha chiesto alla marina militare di rifornire Agrigento e Gela con una nave cisterna. Molti comuni, intanto, hanno iniziato a razionare l’acqua per gli usi domestici.
Le cause di questa emergenza sono da ricercare nell’assenza di pioggia e nel caldo eccezionale. «Come ormai è prassi in Italia, un promontorio di origine sub-tropicale convoglia aria calda di origine africana su di noi», spiega a Fanpage il metereologo Federico Grazzini. «Anno dopo anno le masse d’aria sono sempre più calde, e quindi si superano agilmente i 40°C. In Sicilia quest’anno – ma anche in Puglia, in Calabria – tutto ciò si somma all’assenza di pioggie invernali e primaverili, che invece hanno investito il nord».
Giorgio Micale è docente di chimica dell’Università di Palermo è membro del tavolo regionale di contrasto all’emergenza siccità. «La situazione si è fatta via via più grave col passare dei mesi – ci spiega – la Protezione Civile ha elaborato un piano, ma si tratta di misure emergenziali, che affrontano il qui e ora». Quali sono queste misure? «Innanzitutto si cercano nuove fonti idriche: pozzi e sorgenti. Poi si lavora ad efficientare le reti, per ridurre le perdite. Infine, è stata approntata una strategia specifica per le zone in maggiore difficoltà, che stanno venendo rifornite con autobotti. Dopodiché, il problema è strutturale. Il cambiamento climatico sta assetando tutto il Mediterraneo, Sicilia in primis». Anche il suo collega Giuseppe di Micieli, che all’Università di Palermo insegna agraria, esprime la medesima preoccupazione. «La produzione di frumento duro, la più grande per estensione nella nostra Regione, è calata del 60% a causa della siccità. E se manca il frumento, manca anche il foraggio per gli animali: la produzione è scesa dell’80%» ci spiega. «La zootecnia è in crisi. C’è un’azienda in Sicilia che ha selezionato una varietà bovina eccezionale, e ora rischiano di abbattere i capi per mancanza di cibo e acqua. Ma quel bestiame mica si ritrova sul mercato. Per rimediare servirà un decennio!».
La siccità non è un problema nuovo per la Sicilia. Ma la crisi climatica la rende sempre più frequente e più violenta. Secondo uno studio del CNR pubblicato nel 2019, l’isola è la regione italiana con la più alta percentuale di territorio a rischio desertificazione: il 70%. In vent’anni il livello medio delle piogge è diminuito del 40%. «Un terzo della Sicilia rischia di essere un deserto entro il 2030», scriveva pochi giorni fa il quotidiano britannico The Guardian. Nell’immediato bisogna rispondere all’emergenza, nel medio periodo è il riscaldamento globale a preoccupare. Il contrasto alla crisi climatica si compone di due parti: adattamento e mitigazione. La prima consiste nel rendere i territori adatti alle nuove temperature. La seconda riguarda invece l’azzeramento delle emissioni climalteranti – quelle che vengono da petrolio, gas, carbone – per evitare che gli effetti della crisi climatica raggiungano livelli insostenibili. «Le soluzioni le conosciamo – prosegue Grazzini – da un lato bisogna installare rinnovabili, ridurre consumi, cambiare alimentazione e passare alla mobilità elettrica e pubblica. Dall’altra bisogna adattarci. Le nostre case, ad esempio, devono essere in grado di rimanere fresche anche quando fuori permangono per giorni temperature pericolose per la salute umana». Secondo Micale, la Sicilia dovrebbe iniziare a pensare anche all’uso di dissalatori. «Non si tratta dell’unica soluzione, ma possono aiutare nei momenti d’emergenza. Quando le fonti tradizionali, nonostante i lavori di efficientamento che pure dobbiamo fare, scarseggiano per via della crisi climatica, ripulire l’acqua marina o salmastra diventa indispensabile». I dissalatori sono ampiamente usati in Israele e nei paesi del Golfo Persico, ma preoccupano per la quantità di energia necessaria a farli funzionare. Un consumo elettrico che li rende costosi e, paradossalmente, rischia di contribuire alla stessa crisi climatica che promettono di mitigare. «Chiaramente l’acqua dissalata è strutturalmente più costosa di quella degli invasi. Ma con la tecnologia le spese si sono molto ridotte. E poi dobbiamo calcolare il costo dell’acqua mancata: quando perdiamo bloccando fabbriche, perdendo raccolti, perdendo bestiame per via della siccità?».
La Sicilia, priva di grandi fiumi o ghiacciai, ha imparato fin dall’antichità a conservare l’acqua. Ma le temperature più alte e le piogge più scarse, frutto della crisi climatica di origine fossile, rendono le conoscenze accumulate nei millenni sempre meno valide. Per i cinque milioni di abitanti della Sicilia, le foto del lago di Pergusa in secca rischiano di diventare la nuova normalità.
(da Fanpage)
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