LA SORA GIORGIA PROVA L’ENNESIMA GIRAVOLTA E SI RIAVVICINA A TRUMP, L’IDEA È QUELLA DI PORTARE I SUOI CONSERVATORI AD OSPITARE DELEGATI DEL TYCOON IN UN VERTICE DA TENERE IN ITALIA O IN CROAZIA PRIMA DEL 5 NOVEMBRE
MA LA DUCETTA CAMMINA SULLE UOVA: LA PREMIER NON PUO’ FARSI TERRA BRUCIATA CON WASHINGTON IN CASO DI RIMONTA DELLA HARRIS
In equilibrio, senza sbilanciarsi troppo. Muovendo passi verso il trumpismo, ma senza esagerare. Ecco la strategia di Giorgia Meloni, alle prese con il dilemma delle Presidenziali americane. Un progetto che dovrebbe portare i suoi Conservatori ad ospitare delegati del tycoon in un Cpac da tenere in Europa — e forse addirittura in Italia — prima del 5 novembre. Ma evitando allo stesso tempo di strappare per adesso con i democratici, la cui collaborazione è servita a cementare l’esecutivo nei primi due anni di governo.
Non c’è nulla di casuale, nelle mosse con cui la presidente del Consiglio affronta questa fase. Non è un caso, ad esempio, che non abbia ancora commentato il ritiro di Joe Biden. Prudenza, quindi.
A differenza di Matteo Salvini, che di fatto è in campagna elettorale per Donald Trump, la premier non intende bruciare ponti che, in caso di rimonta del candidato dem, finirebbero per far collassare il suo rapporto con l’alleato d’Oltreoceano. E d’altra parte, la cautela è anche frutto di un’analisi contenuta nei report più sensibili che i suoi diplomatici hanno elaborato dal G7 di Borgo Egnazia in poi. Tutti contenevano una indicazione: il Presidente si ritirerà e la partita si riaprirà. Senza escludere l’opzione “Michelle”, vale a dire la possibilità di una clamorosa discesa in campo della moglie e first lady di Obama.
E però, è altrettanto vero che sottotraccia il tentativo di riavvicinamento a Trump è comunque partito. E potrebbe subire un’accelerazione nelle prossime settimane, se la corsa del tycoon dovesse apparire destinata a vittoria certa. La manovra ha avuto un passaggio chiave durante la recente Convention repubblicana di Milwaukee, a cui ha partecipato il meloniano e segretario generale dell’European Conservatives and Reformists Party (Ecr) Antonio Giordano. Il mandato ricevuto era chiaro: rafforzare l’alleanza. Come? Anche puntando ad organizzare in Europa una tappa della Conservative Political Action Conference.
È ancora un piano embrionale, infatti prevede almeno tre possibili sbocchi. Una tappa utile a ospitare i trumpiani potrebbe essere quella della convention di Ecr già pianificata per settembre in Croazia. Una seconda è quella in agenda per novembre a Stoccolma: si terrebbe però dopo il voto americano. La terza è quella più suggestiva: allargare l’appuntamento dei gruppi di Fratelli d’Italia del 4-6 ottobre a Brucoli, in Sicilia, organizzando una giornata di lavori “europei” e “atlantici” per ospitare i repubblicani americani.
Equilibrismo, si diceva. Il forte ritorno sulla scena di Trump ha creato insieme un’opportunità, un dilemma e una competizione all’interno della coalizione di governo. Meloni ha collaborato con Biden, bilanciando le difficoltà con Bruxelles. Ha garantito il sostegno all’Ucraina, finora senza sbavature.
E ha assicurato fino a qualche mese fa un’interlocuzione con Orbán e il resto della destra europea, con cui altrimenti Washington avrebbe ovvie difficoltà di comunicazione. Dall’altra parte, però, Fratelli d’Italia è un partito conservatore e adesso, con l’approssimarsi del voto del 5 novembre, questo bivio torna a rendere necessario un investimento progressivo su questo rapporto, senza rompere anzitempo con i dem.
Il segretario di Ecr ne ha approfittato per incontrare membri della campagna presidenziale, parlamentari, esponenti del Partito repubblicano e think tank. Un modo per recuperare terreno rispetto al Carroccio. Per discutere di Nato e investimenti nella difesa, anche oltre il 2% pattuito al vertice di Cardiff (l’Italia si è impegnata a farlo, compatibilmente con i suoi problemi di bilancio).
Si è parlato di Ucraina, forse il tema più delicato, perché il ritorno di Trump alla Casa Bianca potrebbe imporre alla premier un’inversione a U difficile da giustificare. La percezione però è che cambierà la linea, senza l’abbandono di Kiev. Fondamentale resta comunque l’opzione di organizzare una CPAC europea, forse addirittura in Italia. La Conservative Political Action Conference è ormai l’appuntamento annuale del trumpismo, con un’estensione a Budapest dall’amico Orbán. Sia pure con tutte le cautele e gli equilibrismi, si tratterebbe di un passaggio chiave che segnerebbe l’inevitabile ravvicinamento con Trump.
(da repubblica.it)
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