LA TANGENTOPOLI INFINITA PER UN ITALIANO SU DUE: RESTIAMO IL PAESE DEI CORROTTI
SONDAGGIO DEMOS: IL 56% RITIENE CHE LA CORRUZIONE NON SIA DIMINUITA RISPETTO AL PASSATO
Oggi è la Giornata internazionale contro la corruzione, approvata dall’Onu. Una ricorrenza che ci riguarda direttamente, in quanto in Italia la corruzione persiste e resiste negli anni. Dall’epoca di Tangentopoli. Anzi, rispetto ad allora si è diffusa ulteriormente. È questa l’opinione condivisa da un’ampia maggioranza di cittadini. In crescita rispetto agli ultimi anni.
È quanto emerge da un sondaggio condotto da Demos per Libera. Attualmente questa percezione coinvolge una larga area di persone. Il 56%, infatti, ritiene che la corruzione non si sia ridimensionata rispetto all’epoca di Tangentopoli.
Nei primi anni Novanta. Quando venne alla luce un sistema esteso di corruzione e concussione, che coinvolgeva ampi settori dei partiti politici e dell’imprenditoria.
Un fenomeno reso evidente dalle inchieste della magistratura, riassunte con il termine Mani pulite. Per sottolineare quanto fosse importante e difficile agire nella “Città delle tangenti”. Per “ripulirla”. Trent’anni dopo, però, la maggioranza dei cittadini continua pensare che, da allora, sia cambiato poco. Mentre quasi un terzo ritiene, anzi, che il fenomeno si sia esteso ulteriormente. Si tratta, dunque, di un sentimento molto condiviso. Fin troppo, a prescindere dall’effettiva fondatezza. Perché, in effetti, risulta difficile da misurare. Inoltre, dura e si riproduce da molti anni e, per questo, suscita minore “reazione”. Ma solleva, semmai, “assuefazione”. Viene, cioè, “dato per scontato”. Tuttavia, proprio per questo, è più inquietante. In quanto segnala un certo grado di legittimazione.
In altri termini, agli occhi degli italiani la corruzione rischia di divenire una componente “normale” del mondo politico ed economico. Fino a caratterizzare e condizionare la vita quotidiana. Pubblica e privata. Risultati coerenti emergono da un’indagine condotta per l’Università di Pisa e Perugia, nell’ambito del progetto “Sommossa”. Qui circa i due terzi dei cittadini la ritengono quasi una “necessità”, nei concorsi pubblici e nella gestione delle carriere. E nei rapporti con la burocrazia, per ottenere servizi in settori fondamentali come la sanità e l’università. Mentre la metà del campione intervistato la considera “utile” anche nelle attività e negli affari a livello locale.
Pertanto è molto larga la convinzione che, per vivere e sopravvivere, sia necessario “con-vivere” con la corruzione. Dovunque si abbia a che fare con il sistema pubblico. E privato. Per questo motivo quasi la totalità dei cittadini ammette di non aver mai partecipato — tantomeno contribuito — ad attività di protesta contro la corruzione. In maggioranza, per mancanza di occasioni. Ma, in misura molto ampia (quasi un terzo), per motivi di interesse. Molto scarso, nonostante che tre persone su quattro si dicano disponibili a denunciare fatti illeciti, commessi nel posto di lavoro.
In altri termini, la corruzione suscita e sollecita la reazione dei cittadini quando coinvolge il mondo intorno a noi. La nostra vita. Vicino a noi. Mentre se avviene nel mondo pubblico, nell’ambiente economico e a maggior ragione “politico” lascia perlopiù “indifferenti”. Come se si trattasse di una componente “normale” di quel contesto. Che dovremmo non solo contrastare, ma per-seguire.
Per questo motivo risulta difficile immaginare un futuro diverso. Disegnare una realtà dove la corruzione divenga una macchia da cancellare. Un male che possiamo e dobbiamo curare in profondità, fino a spingerlo fuori dal nostro “corpo”. Sociale e politico. Perché, come si è detto, la corruzione è “data per scontata”.
E appare una procedura utile, talora perfino necessaria per favorire il funzionamento dello Stato, delle istituzioni locali, degli affari. Pubblici e privati. Tuttavia, rassegnarsi alla corruzione significa accettare che divenga un elemento “normale” della nostra vita quotidiana. Per questo l’esistenza e l’azione di associazioni come Libera è necessaria e utile. Perché aiuta a guardare il mondo e la società come ambienti che possiamo e dobbiamo “depurare” dal male quotidiano. Senza abituarci a esso.
(da La Repubblica)
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