LA TENTAZIONE DELLE ELEZIONI ANTICIPATE: RISPUNTA L’IPOTESI DELL’ELECTION DAY
ALLO STUDIO L’IDEA DI ACCORPARE REGIONALI E NAZIONALI IN CHIAVE ANTI-ASTENSIONISMO
E adesso la macchina del voto anticipato si rimette in moto.
I partiti sono tornati nel giro di poche ore in fibrillazione, i vertici istituzionali in allerta, calendari alla mano, domeniche “utili” cerchiate in rosso, tra fine febbraio e fine marzo, comunque prima del preventivato 7 aprile.
I giudici amministrativi aprono a sorpresa un nuovo spiraglio per l’accorpamento delle regionali con le elezioni politiche.
Se, col secondo grado sul caso Lazio, i loro colleghi del Consiglio di Stato dovessero confermare il vincolo per la Polverini – a fare quel che, a 45 giorni dalle dimissioni, si ostina a non voler fare – allora Palazzo Chigi e il Quirinale faranno scattare la stretta. È un count-down che a questo punto non coinvolge solo la giunta della Pisana e con essa quelle della Lombardia del disarcionato Formigoni e del Molise e poi ancora del Friuli – almeno lì per scadenza naturale in primavera – ma coinvolge lo scioglimento dello stesso Parlamento.
Tutto giocato in punta di diritto, ma con ricadute politiche pesanti, tutto giocato nell’arco di poche ore: le prossime.
Tanto il Colle quanto la presidenza del Consiglio sono contrari all’escalation elettorale.
L’ipotesi di indire il voto nel Lazio sotto Natale (entro il 90 giorni dalle dimissioni) non è presa seriamente in considerazione.
Si è parlato con insistenza, per Roma e Milano, dell’ultima domenica di gennaio, il 27. Ma per ragioni di “opportunità “, sia Napolitano che Monti non sembrano inclini a far scattare proprio da gennaio ad aprile una convocazione a tappe degli elettori.
Per almeno due motivi ritenuti imprescindibili e già portati a conoscenza delle segreteria dei tre partiti di maggioranza.
Il primo di natura finanziario, legato alla crisi: evitare che centinaia di milioni di euro vadano perduti in elezioni multiple.
Ma il timore avvertito soprattutto dal Quirinale è quello di alimentare la disaffezione di quei milioni di italiani che risultano già seriamente tentati dal disertare le urne.
Si moltiplicherebbe sulle politiche l’effetto dirompente dell’astensionismo.
Già la scorsa settimana, negli ultimi contatti intercorsi tra il presidente Napolitano e il premier Monti era stata presa in considerazione l’ipotesi election day e domenica 7 aprile, a quanto trapelato, era risultata la scadenza più probabile.
Anche alla luce delle festività a quel punto superate, la Pasqua cristiana del 31 marzo e quella ebraica del 28.
Ma quel timing è stato accantonato con la stessa rapidità con la quale era stato partorito.
Il Partito democratico non accetta per il Lazio un rinvio tanto prolungato del voto, teme di vedere attutito nel tempo l’effetto dello scandalo che ha sconquassato il Pdl in Regione costringendo la Polverini e la sua giunta a dimettersi.
Il pronunciamento del Tribunale amministrativo regionale riapre la partita.
E anticipa i tempi. Ma bisognerà conciliare le “esigenze” di tutti.
Il presidente della Repubblica Napolitano resta fermo nel suo proposito di non essere king maker, quando si tratterà di insediare il futuro governo.
E poi ci sarebbe lo spettro che assedia Pd, Pdl e Udc.
E la loro, di esigenza: arginare il consenso crescente di Grillo e del suo M5s, lievitato ulteriormente in tutte le regioni dopo l’exploit siciliano.
Ed è così che in queste ore si è fatta sempre più concreta la prospettiva di anticipare le politiche e accorpare il voto nelle quattro regioni in ballo in una domenica di marzo. Quella che precede la Pasqua, il 24 marzo, è “indiziata” più di altre.
Non di solo Lazio, loro malgrado, decideranno i giudici del Consiglio di Stato.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica“)
Leave a Reply