LA TRIPLICE SOLITUDINE CHE AGITA GIORGIA MELONI, VITTIMA DEL MITO DEL LEADER FORTE CHE HA CONTRIBUITO A CREARE NEL PARTITO
LA PEGGIORE DESTRA REAZIONARIA DELLA STORIA D’ITALIA, UNA CLASSE DIRIGENTE DI SCAPPATI DI CASA, UN BARATRO CULTURALE RISPETTO AD ALTRI PAESI
Giorgia Meloni è arrivata a Bruxelles titolare di responsabilità immense, di scelte che condizioneranno il futuro suo, del suo governo, degli italiani: scelte che saranno giudicate dalla storia, ben altra cosa rispetto alle minuzie che hanno segnato le vicende di ogni suo predecessore nella Seconda Repubblica. Per trovare analogie, peraltro pallide, bisogna tornare indietro alla svolta atlantica della destra missina, che per anni si era espressa contro la Nato, o dello strappo di Enrico Berlinguer da Mosca. Ma pure questi esempi reggono poco, perché oggi Meloni è più sola di ogni capo di partito incappato prima di lei nei sussulti della storia. Sola politicamente, culturalmente, forse anche umanamente.
In politica si confronta con un problema gigantesco che è solo in parte riassunto dal fuoco amico di Matteo Salvini. Quella è la punta dell’iceberg. Sotto, c’è la cultura diffusa di un elettorato educato al mito dei capi forti, che istintivamente si riconosce nei pugni sul tavolo della nuova coppia Donald Trump-Vladimir Putin.
Traghettare questi sentimenti in un mondo dove Trump abbandona i vecchi alleati e la Russia torna a essere «nemico esistenziale» dell’Europa è un compito improbo, forse impossibile. Una notevole quota del popolo che Fratelli d’Italia ha annesso alle ultime elezioni viene dal leghismo e dal berlusconismo, mondi dove l’elogio di Putin era pane quotidiano. E il resto, lo zoccolo duro del voto di destra, è cresciuto nella critica ostinata a Ursula von der Leyen e alla «Europa dei mercanti», ha applaudito la Brexit, detesta Emmanuel Macron: come spiegargli che il dialogo con costoro si è fatto obbligatorio, una questione di vita o di morte?
La seconda solitudine è culturale, mediatica, intellettuale. Altrove esiste un controcanto da destra agli spropositi di Donald Trump. Sui dazi, sul voto Onu contro l’ultima risoluzione sull’Ucraina, sulle offese agli alleati, persino un quotidiano conservatore come il Wall Street Journal non ha fatto sconti al presidente.
I tabloid inglesi, da sempre veicoli di uno spregiudicato populismo destrorso, sono insorti contro Vance per gli oltraggi all’esercito e alla presunta mollezza delle difese europee. La Fox, rete ammiraglia della propaganda trumpiana, non ha nascosto le immagini di Vance accolto in Vermont dai cartelli «va’ a sciare in Russia».
In Italia suona un’altra musica. Le testate e le trasmissioni di riferimento della destra non possono o non vogliono modificare il loro racconto. Con l’eccezione de «Il Foglio» e malgrado gli imput di Marina Berlusconi, la lode ai vestiti del nuovo imperatore non prevede eccezioni. Anzi, la sintonia tra Trump e Putin autorizza a moltiplicare le critiche all’Ucraina e a Zelensky, rivalutando la versione russa degli eventi e denunciando la follia delle ambizioni europee sulla difesa. È questa l’acqua a cui si abbeverano ogni giorno gli elettori della destra, ed è un problema.
La terza solitudine di Meloni è meno dimostrabile ed evidente perché non possono indicarla dati o prese di posizione pubbliche. È una solitudine che si misura nella distanza tra le scelte enormi che incombono su Palazzo Chigi e il tran-tran indisturbato del resto del centrodestra, la persistenza di certe gaffe, le faide locali, il chiacchiericcio sulle borse della ministra, i ministri che si smentiscono a vicenda, la Rai incagliata nel braccio di ferro sulle nomine.
Lo abbiamo già visto succedere in passato: ogni leader italiano prima o poi è arrivato al punto di detestare «i suoi» per l’eccesso di rogne che generano in momenti difficili. Magari Meloni è un’eccezione, tutto è possibile. Di sicuro, oggi le servirebbero un contesto diverso, una intelligenza collettiva, una Compagnia dell’Anello più attrezzata e decisa per aggiornare le posizioni e incamminarsi nelle terre sconosciute che attendono l’Italia e l’Europa, ma vai a trovarli…
(da lastampa.it)
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