LA UE CONTRO IL REGALO DI RENZI AI GESTORI DI AUTOSTRADE: 16 MILIARDI NEI PROSSIMI 30 ANNI
NELLO “SBLOCCA ITALIA” ALLUNGAMENTO DELLE CONCESSIONI SENZA GARA E AUMENTO DEI PEDAGGI
Ben ultima anche l’Europa: sullo Sblocca Italia, la figuraccia del governo è ormai a un passo.
Dopo aver incassato critiche a raffica (Autorità anticorruzione, Bankitalia, Antitrust etc.), per il decreto che verrà licenziato dalla Camera, la commissione Ue è pronta a sanzionare l’Italia.
Motivo? Il regalo miliardario ai signori delle autostrade, una pioggia di soldi inserita alla voce “prolungamento delle concessioni” autostradali (articolo 5).
Funziona così: viste le casse pubbliche vuote, in cambio della promessa di nuovi investimenti, il governo di Matteo Renzi è pronto a concedere ai grandi gruppi che gestiscono le tratte (le autostrade sono pubbliche) l’allungamento della concessione allo sfruttamento, senza gara e con la possibilità di aumentare i pedaggi.
Una misura che — ha calcolato l’ex direttore esecutivo della Banca Mondiale Giorgio Ragazzi — porterebbe nelle casse dei beneficiari (Benetton, Gavio etc.) qualcosa come 16 miliardi di euro nei prossimi trent’anni, sotto forma di pedaggi (che crescono sempre per l’inflazione e altri fattori).
Dal canto loro, i concessionari promettono investimenti per circa 11 miliardi.
A conti fatti, se pure fossero realizzati, considerando i consueti ritardi, la cifra è assai inferiore al regalo garantito dallo Sblocca Italia.
Molte delle concessioni sono in scadenza e, stando alle norme europee, dovrebbero essere riaffidate tramite gare aperte a tutti i soggetti.
Un’ipotesi che terrorizza i concessionari, e per questo disinnescata accortamente dal decreto.
Un pronunciamento dell’Ue era atteso.
A settembre, il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi aveva presentato le misure all’Europa.
Il passaggio era obbligato: da tempo, infatti, Bruxelles ha messo sott’occhio l’atteggiamento dei governi italiani nei confronti della autostrade, e la raffica di favori (sempre in tema di concessioni) più volte elargiti ai gesttori dopo la grande privatizzazione di fine secolo.
Un assenso, quindi, era tutt’altro che scontato.
Ieri la doccia gelata. I dubbi sullo Sblocca Italia sono stati resi con un po’ di ritardo, forse dovuto alle lunghe fasi che stanno caratterizzando il rinnovo delle cariche: il 17 ottobre scorso, l’esecutivo comunitario ha avviato una Eu pilot, una pre-procedura d’infrazione, chiedendo lumi su una norma che, così come è scritta, viola le direttive comunitarie.
Pena, l’apertura della procedura vera e propria.
In una lettera inviata al ministero, la direzione generale Trasporti mette sotto accusa “la stipula di atti per la modifica dei rapporti concessori esistenti sulla base di nuovi piani economico-finanziari” prevista all’articolo 5 del decreto.
Stando alle direttive europee, infatti, i lavori (cioè gli investimenti) promessi dai concessionari in cambio della proroga possono aggirare l’obbligo di messa a gara solo se “necessari, a seguito di una circostanza imprevista, per l’esecuzione dell’opera prevista”, altrimenti bisogna aprire un bando pubblico.
Tanto più che il testo autorizza a unificare “tratte interconnesse o attigue”, permettendo così a chi è in scadenza di prolungare la concessione attraverso l’accorpamento.
Lupi ha sempre giustificato la norma spiegando che o si aumentano le tariffe o si allungano le concessioni, citando il caso della Francia, dove però l’Ue ha concesso l’allungamento per un solo anno, solo per far fronte a lavori direttamente proporzionali e con penali severe in caso di ritardi.
Forse temendo le mosse della Commissione, nei giorni scorsi il governo aveva introdotto una prima correzione: per la proroga delle concessioni autostradali servirà il via libera dell’Ue. Non è servito.
Come se non bastasse, ieri il testo ha incassato la bocciatura del Comitato della legislazione (“troppe misure che non centrano nulla”) e delle Regioni, con l’aggiunta del leader dei dissidenti Pd.
Pippo Civati ha spiegato che il decreto “sarà una buona palestra” per iniziare a votare in dissenso.
Carlo Di Foggia
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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