LA VERGOGNA DEI FASCICOLI ARRETRATI NEI TRIBUNALI DEI MINORI
RIGUARDANO IL DESTINO DI 110.000 BAMBINI
È un’emergenza collettiva che ci riguarda molto da vicino, ma la vediamo solo quando diventa il titolo di un tg o di un giornale. Parliamo della sofferenza sociale e psichica di bambini e adolescenti: se non curata tempestivamente finisce troppo spesso con l’aggravarsi, fino a procurare danni irreparabili e condizionare o compromette la loro vita adulta. Il fenomeno delle baby gang, la delinquenza minorile, i giovanissimi che abbandonano la scuola, i bambini stranieri senza famiglia, i minori orfani di violenza domestica, vittime di abusi o figli di alcolisti o tossicodipendenti rappresentano solo alcune delle situazioni che richiedono valutazioni adeguate, interventi rapidi e sorveglianza sulla corretta applicazione delle misure. Chi deve occuparsi di tutti questi casi è il Tribunale per i minorenni. Siamo andati a vedere come funziona. Quello che emerge lascia interdetti.
Cosa c’è sul tavolo dei giudici
In Italia ci sono 29 Tribunali per i minorenni: a tutti manca il personale amministrativo, mentre i giudici previsti dalle piante organiche sono meno rispetto alla mole di lavoro e in quasi la metà dei Tribunali il loro numero non viene neppure rispettato. A Milano dovrebbero essere 18 invece sono 13, a Roma 16 e sono in 12, a Genova 7 e sono in 5, a Bari 10 e sono in 7. E via di questo passo a Firenze, Venezia, Ancona, Napoli. Né bastano i giudici onorari che li affiancano (psicologi, pedagogisti, neuropsichiatri infantili, educatori, assistenti sociali).
Il risultato è l’accumulo di fascicoli: il totale fa quasi 110 mila, e a ogni fascicolo corrisponde un minore e il suo destino. Le chiamano «pendenze». A Milano sono 12.662: vuol dire che ogni singolo giudice ha sul tavolo 974 fascicoli arretrati, e ogni anno 562 casi nuovi. A Roma le pendenze sono 8.368, a Napoli 5.531, a Bologna si raggiunge il numero esorbitante di 10.106, nonostante il numero dei giudici sia quello previsto da pianta organica. Ma concretamente cosa vogliono dire questi numeri per la vita dei minori?
Prima autolesionista, poi drogato
Vincenzo, 12 anni, si ferisce volontariamente. La scuola informa i servizi sociali e, dopo una diagnosi di disturbo depressivo, arriva la decisione del Tribunale per i minorenni: deve andare dallo psicologo e ai genitori va affiancato un educatore a domicilio. Passano due anni e mezzo, ma i servizi sociali non si attivano e il giudice non sollecita perché ha altre urgenze. Vincenzo lascia la scuola e inizia a drogarsi. A 16 anni ritorna al Tribunale per i minorenni, stavolta davanti al giudice penale per furto e spaccio.
In comunità, anziché in famiglia
Claudia e Armando sono due fratellini inseriti in comunità perché i genitori sono entrambi tossicodipendenti. Prima che i Servizi sociali segnalino al Tribunale passano 5 mesi, altri 6 prima che i genitori vengano inseriti in percorsi di disintossicazione, altri 15 prima di capire che la disintossicazione non sta funzionando. Nel frattempo i bambini, che avrebbero potuto essere dati in affido, restano in comunità. Invece Marco è un giovane papà che per 2 anni vede il figlio piccolo in uno «spazio protetto» a causa di pregressi problemi di droga. Il padre accetta di seguire un percorso di disintossicazione che funziona bene e dopo 3 anni chiede di essere reintegrato nella responsabilità genitoriale. Ma il giudice risponde alla richiesta dopo 13 mesi
Quattro fratelli alla deriva
Hanno un’età compresa fra i 3 e i 16 anni. Il padre è in carcere, la madre convive con un compagno. I più piccoli devono essere seguiti a casa da un educatore, i più grandi frequentare un centro diurno, per tutti è necessario un supporto psicologico. I giudici non riescono a seguire l’evolversi della situazione per prendere via via provvedimenti mirati: la figlia più grande diventa maggiorenne e oggi non studia né lavora; il secondo è tossicodipendente; il terzo con disturbi dell’apprendimento. Per il più piccolo si apre l’affido perché la madre non ce la fa.
Orfana di femminicidio
La mamma di Gioia, 4 anni, è morta per mano del padre. Ci vogliono 15 mesi per dichiarare la bambina adottabile, ma nel frattempo per mancanza di fondi non viene attivato nessun supporto psicologico nonostante disturbi del sonno e pianti prolungati. Conseguenza: la ricerca di una famiglia adottiva fallisce poiché la bambina non riesce a inserirsi in nessuna famiglia.
Nessun sostegno dopo gli abusi
Marina subisce abusi sessuali tra gli 8 e i 10 anni dal compagno della madre. Trova il coraggio di raccontare a scuola. Si apre il procedimento penale che porta alla condanna dell’uomo. La ragazzina viene seguita da uno psicologo, ma dopo 6 sedute la terapia si interrompe perché all’operatore è scaduto il contratto della cooperativa. Marina salta ripetutamente la scuola, fughe da casa e uso di sostanze stupefacenti.
Mamma alcolista
Francesca ha problemi di alcol e per 2 anni sta in comunità con il figlio di Gabriele di 4 anni. Quando finalmente tornano a casa è prevista l’attivazione di un educatore domiciliare per il reinserimento nella vita normale, e la presa in carico del Gruppo operativo di alcologia (Noa). Nel passaggio di competenze tra i servizi sociali e specialistici che la seguivano in comunità e quelli del nuovo Comune di residenza, a cui passa il caso, l’educatore domiciliare non si trova. Dopo 6 mesi Francesca torna a bere e Gabriele non va a scuola.
Chi deve fare cosa
Le competenze sono divise. Il Tribunale per i minorenni si occupa di adozioni, affidi etero-familiari e di limitazioni della responsabilità genitoriale nel caso in cui la presenza in famiglia può arrecare danno a un bambino o a un adolescente. Poi c’è il Tribunale ordinario che interviene in caso di separazioni, divorzi e conseguente necessità di regolamentazione della responsabilità genitoriale dei figli di coppie sposate e non; infine il giudice tutelare che si occupa di tutele di minori italiani, oltre che di nomine e gestioni delle amministrazioni di sostegno. Tradotto nella pratica: la polizia interviene su un brutto episodio di violenza e allontana un minore dalla famiglia. La polizia segnala subito il caso alla Procura presso il Tribunale per i minorenni che, a sua volta, chiede ai giudici la convalida di quell’allontanamento e altri provvedimenti a tutela. Nel frattempo la madre si separa dal compagno/marito e quindi deposita, con il suo avvocato, un ricorso davanti al giudice del Tribunale ordinario nel quale chiede, oltre alla separazione, l’affidamento del figlio e l’assegno di mantenimento per il minore. Successivamente la madre decide di recarsi all’estero, il padre si oppone e non dà il consenso all’espatrio. La madre per ottenere il documento valido è costretta a fare ricorso al giudice tutelare. Questa frammentazione di competenze allunga i tempi e complica situazioni già difficili in origine
La riforma Cartabia
La legge 206 del 26 novembre 2021, nota come riforma Cartabia sulla giustizia, per quanto riguarda i minori viene attuata con il decreto legislativo 149 del 10 ottobre 2022 (qui). L’obiettivo è di riunire entro ottobre 2024 tutti i procedimenti sotto un tribunale unico dal nome «Tribunale per le Persone, per i Minorenni e per le Famiglie», applicando un rito unico. Le buone intenzioni, però, devono fare i conti con la realtà. Due i problemi su tutti.
1) Per i procedimenti iscritti dopo il 28 febbraio 2023 i giudici onorari non avrebbero più potuto svolgere attività istruttoria, occuparsi della prima udienza, né procedere autonomamente all’ascolto del minore. Sono intervenute due proroghe, ma dal 30 aprile 2024 tutto ricadrà sulle spalle dei giudici togati già oggi seppelliti dai fascicoli.
2) Al 30 giugno 2023 avrebbe dovuto essere operativa l’informatizzazione del Tribunale per i minorenni. A metà dicembre 2023 sia il Tribunale ordinario, sia quello dei Minorenni e il giudice tutelare non sono ancora in grado di vedere reciprocamente tutti i procedimenti che riguardano lo stesso minore. E poi se l’organico rimane lo stesso, se restano tal quale i fondi per il sostegno ai minori e genitori e nessuno guarda quali sono le criticità dentro agli uffici fuori parametro, cambia davvero poco. Le conseguenze le vediamo quando finiscono in cronaca.
Milena Gabanelli e Simona Ravizza
(da corriere.it)
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