LA VERGOGNA SU VENTOTENE: MELONI, LE POST-VERITA’ E LA FOGNA DELLA STORIA
IL RICHIAMO DELLA FORESTA LE HA FATTO CADERE LA MASCHERA
Come il cane Buck di Jack London, ancora una volta Giorgia Meloni non è riuscita a trattenere i suoi spiriti animali, facendosi trascinare dal richiamo della foresta della cultura fascista da cui provengono lei e la classe dirigente del suo partito. Nell’ora più buia dell’Europa, schiacciata tra il regime criminale di Vladimir Putin e le minacce degli Stati Uniti del suo amico Donald Trump, la premier davanti al parlamento e al governo in gran completo non ha avuto alternativa migliore che brutalizzare il Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi.
Un documento scritto 84 anni fa dai padri fondatori del federalismo europeo, oltraggiato da Meloni attraverso la lettura di citazioni strumentali prese a spizzichi e bocconi dalle pagine di uno dei lavori intellettuali più rilevanti della dottrina politica italiana. Un progetto che ha contribuito a portare, oltre all’unità del vecchio continente, quasi 80 anni di pace e prosperità in Europa, dopo la devastazione e gli orrori causati dal nazionalismo fascista e nazista.
Ora, l’erede di quella tradizione che si sperava costretta per sempre nelle fogne della storia ha dichiarato che quella di Ventotene (cioè libera, antifascista e pacifista) «non è la mia Europa». Mani in tasca, tono da me-ne-frego e dimentica che Spinelli era stato mandato dal suo statista preferito per sei anni al confino nelle isole pontine, la presidente del Consiglio ha certamente dato scandalo. Ma ha contemporaneamente avuto il merito di levarsi la maschera, mostrando agli italiani la mediocrità del livello politico e strategico a cui tende.
Al netto del solito revanscismo di una cultura politica che ha perso prima l’onore e poi la guerra, a quella di Spinelli la presidente propone infatti una ricetta alternativa reazionaria: quella delle piccole nazioni chiuse in sé stesse, scevre da istituzioni sovranazionali, il più possibile autarchiche e con le mani libere.
L’opzione sovranista propugnata dalle Meloni, dai Salvini e dalle altre destre estreme che mettono a rischio le democrazie liberali europee sorte dopo il Secondo conflitto mondiale, però, mai come in queste settimane sta mostrando tutte le sue contraddizioni e i suoi limiti.
La scelta del sovranista Donald Trump di dichiarare l’Europa come sua avversaria e nemica («La Ue è stata creata per fottere gli Usa», ha detto) e l’intento di Washington di costruire con la Russia e la Cina un nuovo ordine mondiale basato su tre grandi imperi rendono evidente anche ai meno avvezzi al comprendonio che gli europei o stringono i bulloni dell’alleanza da un punto di vista economico, culturale e militare oppure sono destinati a contare poco o nulla nei decenni a venire. Con conseguente perdita non solo di influenza geopolitica, ma di benessere e prosperità per tutti i cittadini.
Ecco: l’interesse dell’Italia e degli italiani che Meloni sventola come suo spirito guida è uno solo. Quello di costruire, con i partner francesi, spagnoli, tedeschi, degli altri dei Ventisette e degli inglesi (che dopo la Brexit stanno facendo più di un passo
indietro) un’Europa più unita e dunque più forte. Esattamente quello che ipotizzava Spinelli, ieri dileggiato senza vergogna. Perché solo un alienato o un fanatico può immaginare che le fragili e invecchiate nazioni europee possano difendersi, singolarmente, dall’aggressione dei giganti che puntano a dividersi il mondo in sfere di influenza.
L’inadeguatezza del rimedio sovranista alla nuova fase storica è incarnato dal balbettio di Meloni delle ultime settimane, da quando le posizioni di Trump sull’Ucraina e sui dazi hanno minato la strategia di Palazzo Chigi di porsi come fondamentale cerniera tra gli Usa e l’Unione. Marginalizzata da Donald che non l’ha ancora incontrata da quando è diventato presidente, isolata a Bruxelles dal rinnovato asse franco-tedesco, la capa di Fratelli d’Italia pratica da mesi un donabbondismo pavido e pericoloso. Arrivando a criticare – invece che le aggressioni di Trump alle nostre aziende – la casa comune europea, rea per Meloni di essersi difesa dalla guerra commerciale lanciata dal tycoon con inutili «rappresaglie tariffarie».
Una manipolazione dei fatti e un’operazione di post-verità che serve a Meloni per tentare di restare in equilibrio e per non schierarsi – come dovrebbe chi ha davvero a cuore gli interessi nazionali – contro il suo sodale americano.
Una posizione difficile da mantenere a lungo: quando i dazi Usa verranno applicati, gli effetti sul sistema economico italiano saranno drammatici, come ha spiegato bene Mario Draghi in Senato mentre i deputati di FdI e Lega sbadigliavano sui cellulari. A quel punto non basterà maramaldeggiare su Spinelli per tranquillizzare le categorie che saranno colpite dalla crisi che si staglia all’orizzonte.
(da agenzie)
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