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L’AIDA A TUNISI: “INVESTIRE QUI SIGNIFICA FERMARE L’INTEGRALISMO”

INTERVISTA ALL’AMBASCIATORE ITALIANO : “PORTEREMO LA SCALA AD AL JEM, COSI’ SI AIUTA LA DEMOCRAZIA TUNISINA”

“Fare diplomazia è anche portare per una settimana l’Opera italiana in Tunisia. Perchè ciò significa lanciare un segnale forte che tocca l’immaginario collettivo. E che aiuta a consolidare il processo democratico in un Paese così cruciale per noi”.
A parlare è Lorenzo Fanara, neo ambasciatore italiano in Tunisia.
L’HP lo ha intervistato in occasione della consegna dei premi agli imprenditori italiani che si sono maggiormente contraddistinti nel fare impresa nel Paese nordafricano, costruendo opportunità  di lavoro e dando speranza a un popolo giovane e alla sua giovane democrazia, nata sull’onda della “rivoluzione jasmine”, sette anni fa.
L’ambasciatore Fanara è giustamente orgoglioso del lavoro fatto dal “sistema Italia” in Tunisia, un sistema che ha saputo tenere assieme pubblico e privato, progetti finanziati dalla nostra Cooperazione allo sviluppo , e realizzati da Ong internazionali che si sono avvalse del lavoro di personale tunisino, e al tempo stesso sostenere l’intervento di soggetti privati in campi strategici, a cominciare da quello delle infrastrutture.
“Le imprese italiane presenti sul territorio tunisino sono uno strumento, importante, di politica estera”: è questo il filo conduttore del nostro colloquio che ha come sfondo suggestivo Tabarka, la città  dei pescatori e dei coralli, affacciata sul Mediterraneo, ai confini tra la Tunisia e l’Algeria.
E il Mediterraneo visto da qui è ancora mare nostrum, luogo di contaminazione e di dialogo tra culture, popoli, civiltà . L’occasione è data dalla consegna dei premi agli imprenditori italiani maggiormente impegnati in Tunisia.
Una serata pienamente riuscita, quella organizzata dalla Camera di commercio italo-tunisina, a cui ha presenziato, per il governo italiano, la sottosegretaria al ministero dei Beni e delle Attività  Culturali e del Turismo Dorina Bianchi.
Signor Ambasciatore, cosa significa per l’Italia e la Tunisia la presenza di tante aziende italiane nel tessuto produttivo del Paese nordafricano?
“Significa investire sul futuro, sulla nostra sicurezza. Perchè senza sviluppo la sicurezza resta fragile. Portare lavoro in Tunisia significa cercare di colmare o quanto meno restringere quella faglia apertasi nel Mediterraneo, dentro la quale è cresciuto in questi anni l’integralismo, il jihadismo, un estremismo che ha cercato di far leva sul malessere sociale per ingrossare le proprie fila. Consegnare oggi questi premi alle imprese italiane in Tunisia significa riconoscere loro quel ruolo importante, per certi versi decisivo, che hanno avuto e stanno avendo per dare più forza alla giovane democrazia tunisina”.
Il “sistema Italia” agisce praticamente a 360 gradi in Tunisia. L’intervento in settori quali le infrastrutture o l’agricoltura è abbastanza conosciuto e apprezzato. Ma qual è, invece, l’ambito rimasto un po’ più in ombra, almeno dal punto di vista mediatico, di cui Lei si sente più fiero?
“Direi senz’altro i progetti culturali che abbiamo realizzato o che stiamo in procinto di portare a compimento. Abbiamo provato a pensare in grande, non per presunzione ma perchè convinti che questo sia il modo migliore, più incisivo per lanciare un messaggio forte interno ed esterno alla Tunisia. Mi riferisco a progetti di grande impatto, capaci di colpire l’immaginario collettivo..”.
Qualche esempio?
“Il prossimo 7 luglio, porteremo la Scala ad Al Jem, un anfiteatro romano a sud di Tunisi. Il 30 giugno e il 4 luglio porteremo l’Aida, nella sua completezza, ad Al Jem e a Tunisi, con un’altra compagnia che utilizzerà  anche personale tunisino. Non è stato semplice realizzare questi, come altri progetti culturali, ma il nostro impegno è stato supportato dalla convinzione che così facendo la Tunisia, anche con il contributo italiano, dimostra di essere in grado di accogliere tanti turisti valorizzando le proprie bellezze, il proprio patrimonio archeologico e puntando sulla cultura. I Tunisini sono un popolo giovane, orgoglioso, fiero della propria identità  culturale e nazionale, e sta cercando di costruire una normalità  che in questi anni gli integralisti in armi hanno cercato a più riprese di attentare. Ma la gente non si è piegata. Ha reagito, si è rimboccata le maniche, e noi abbiamo cercato di dare il nostro contributo. E di questo l’Italia dovrebbe andar fiera”.
In un Mediterraneo lacerato, in un Vicino Oriente marchiato da guerre ed esodi biblici, la Tunisia appare come l’unico modello che non è stato spazzato via dall’integralismo o dalle controrivoluzioni che hanno portato al potere generali e autocratico. Dal suo osservatorio speciale, lei è forse la persona più adatta per fare un quadro della situazione. Le chiedo: a distanza di sette anni, cosa è rimasto in vita di quelle istanze di libertà  che sono state alla base della “rivoluzione dei gelsomini”?
“Anzitutto è rimasta in vita la democrazia, e non è davvero poca cosa se solo alziamo lo sguardo a ciò che avviene in altri Paesi vicini, come la Libia. Certo, è una democrazia giovane, con tutte le sue contraddizioni e fragilità . Ma è una democrazia che si sta irrobustendo, che si è dimostrata capace di tenere assieme forze che in altri Paesi mediorientali si sono divise e scontrate, e la nuova Carta costituzionale sta a dimostrarlo. Ma una democrazia, per consolidarsi, ha bisogno di un forte radicamento nel territorio e di migliorare le condizioni di vita della popolazione. Per quanto ci riguarda, come ‘sistema-Italia’ abbiamo cercato di contribuire al rafforzamento delle istituzioni democratiche con risultati incoraggianti. Vede, lei è in Tunisia in un momento cruciale della vita pubblica del Paese: agli inizi di maggio, si svolgeranno le elezioni amministrative che, per certi versi, acquistano un significato ancora più importante delle elezioni legislative, perchè significa votare per eleggere le amministrazioni di centinaia di città  e villaggi. E questo vuol dire radicare nel territorio la democrazia, selezionare una nuova classe dirigente che si cimenta con i problemi di tutti i giorni e ad essi cerca di dare risposta Significa che in Tunisia, la democrazia sta mettendo le sue radici”.
E questo in controtendenza con ciò che sta segnando la Sponda Sud del Mediterraneo, costellata di Stati falliti, o da un caos armato che favorisce l’affermarsi delle milizie jihadiste o di organizzazioni criminali che fanno del traffico di esseri umani il loro “core business”.
“Il quadro complessivo desta preoccupazione, ma non deve farci abbassare la guardia ma, al contrario, moltiplicare il nostro impegno. In questi anni, nel Mediterraneo si è realizzata una faglia segnata dall’emergere del fanatismo integralista che ha cercato di allargare ulteriormente questa faglia. Il nostro impegno, ognuno per ciò che può e gli compete, è quello di colmare o quanto meno ridurre questa faglia. E, torno a insistere su questo punto, la cultura è uno strumento fondamentale, perchè produce conoscenza, e non solo posti di lavoro, perchè valorizza ciò che unisce e non crea muri di ostilità “.
Ambasciatore Fanara, lei sa che in Italia c’è chi sostiene che le spese per la Cooperazione allo sviluppo siano soldi sprecati, un lusso che non possiamo permetterci. Discorsi che non riecheggiano solo nei bar ma anche nelle aule parlamentari. Le chiedo. Se dovesse spiegare ai politici, oltre che all’opinione pubblica, perchè oggi investire in Tunisia è necessario, e non solo utile, quali argomenti userebbe?
“Investire in Tunisia è essenziale per la nostra stessa sicurezza, perchè la Tunisia è la nostra frontiera Sud. Ma la Tunisia è anche il Paese più vicino alla Libia e soffre della situazione in quel Paese. Non è un caso che gli integralisti abbiano cercato più volte di destabilizzare la Tunisia, perchè sanno bene che l’affermarsi di un modello di democrazia plurale, inclusiva, il consolidamento di uno stato di diritto nel Sud del Mediterraneo rappresenta un argine ad ogni deriva jihadista. Una Tunisia destabilizzata avrebbe inevitabilmente un impatto sulla nostra sicurezza e per governare al meglio i flussi migratori. Altro che soldi gettati via. Lo sanno bene le aziende italiane che hanno scommesso sulla Tunisia. Una scommessa vincente”.

(da “Huffingtonpost“)

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