L’ALTRO FUNERALE A BUENOS AIRES: “ORA FAI CHIASSO DAL CIELO, FRANCISCO!”
IL SALUTO DEL SUO POPOLO IN PLAZA DE MAYO, IL POPOLO DELLE BARACCOPOLI IN LACRIME : “NON POTREMO MAI DIMENTICARE QUELLO CHE HA FATTO PER NOI”
Il buio fatica a sciogliersi nell’alba sulla cappella del Rosario della villa 31-Retiro, baraccopoli conficcata nel cuore di Buenos Aires. È stata una notte insolitamente fredda in questo afoso autunno “porteño”. Il fango e le pozzanghere nelle buche dell’asfalto – dove c’è – rivelano la pioggia recente. E l’aria ha l’odore aspro del temporale imminente. Questo non ferma, però, i preparativi che vanno avanti da venerdì.
Mentre i più giovani caricano negli zaini acqua e mate, Leda siede immobile su un muretto sberciato. Sul petto ha appoggiato un quadro di Francesco e, indifferente al via vai, prega. È là dalle 5 del mattino, l’ora in cui, dall’altra parte dell’Atlantico, è cominciato il funerale del Pontefice a San Pietro.
«Era tutto, per me e per il quartiere. Quante volte è venuto e quanti di noi ha aiutato. Anche me, appena arrivata dal Paraguay, vent’anni fa». Isolina, accanto a lei, annuisce: «Chiedo a Francesco di intercedere per la pace nella villa e nel mondo. E perché io riesca a fare il tragitto», aggiunge indicando la stampella.
Buona parte dei 55mila abitanti della “villa” di Retiro hanno scelto di percorrere a piedi, attraversando il centro, i chilometri fino alla Plaza de Mayo dove Buenos Aires ha salutato il “suo” Papa. Una sorta di anteprima del grande pellegrinaggio con cui il popolo dei “villeros” (gente delle baraccopoli), fianco a fianco a migliaia di donne e uomini delle zone più svariate e della provincia, ha prolungato il congedo. Trasformando il lutto in impegno a proseguire il cammino aperto da Jorge Mario Bergoglio.
Prima tappa, appunto, è stata la piazza su cui si erge imponente la Casa Rosada. All’estremo opposto, sotto il colonnato neoclassico della Catedral metropolitana, è stato allestito l’altare per la Messa solenne alle 10 locali: lo stesso orario di quella di Roma ma con cinque ore di ritardo a causa del fuso. L’arcivescovo Jorge García Cuerva ha scelto di restare per celebrarla e, come ha spiegato, «accompagnare le persone e i sacerdoti in questo momento di sofferenza». Sonia, 55 anni, volontaria della mensa popolare del sobborgo Once-Berazetei, piange. «Mi manca, eppure è qui. E mi chiede di andare avanti», dice con voce commossa. Si vedono tanti occhi umidi quando un sole quasi estivo scaccia di colpo le nuvole grigie dal cielo. A differenza di quanto canta il tango di Carlos Gardel, l’Argentina ha la consolazione e il coraggio – lo chiamava Francesco #– delle lacrime. «Piangiamo perché è morto il padre di tutti, piangiamo perché sentiamo già nel cuore la sua assenza fisica, piangiamo perché ci sentiamo orfani, piangiamo perché non riusciamo ancora acomprendere appieno la sua grandezza mondiale, piangiamo perché ci manca tanto», ha affermato monsignor García Cuerva nell’omelia, interrotta più volte dagli applausi. «Che queste lacrime bagnino la terra della nostra patria e del mondo per far crescere la fraternità».
I fedeli di Baires hanno circondato letteralmente la Cattedrale per la Messa che ha replicato l’addio romano a Francesco seguito in tv a notte fonda
«Lo diceva sempre: siate fratelli e sorelle», afferma María, 80 anni, venuta con Elvira, Angelita e Lucila da Ituizangó, il quartiere della sorella del Papa. «María Helena è nostra vicina», esclamano quasi in coro. «Sa, io non sono credente. Però sono qui perché lui sapeva trovare ciò che ci unisce», sottolinea Mónica, arrivata da Tigre, mentre solleva il fazzoletto bianco in segno di omaggio, al termine della celebrazione. Una grande immagine di Francesco viene portata in processione intorno a Plaza de Mayo: un abbraccio reciproco fra la città e il gesuita che tanto l’amava. Una stretta che, negli ultimi dodici anni, entrambi hanno imparato a dilatare oltre la distanza fisica e ora si prolunga più in là della morte. «Vai in Cielo Francesco – ha concluso l’arcivescovo, ripetendo una frase che, dal Lunedì dell’Angelo, rimbalza di bocca in bocca –. E fai molto chiasso da lassù».
La tristezza accumulata pian piano si scioglie in una festa spontanea carica di gratitudine per il «dono di Bergoglio», come lo chiama Charlie. I giovani dei quartieri popolari hanno portato bonghi e tamburi che suonano rumorosamente a mo’ di saluto. «Gli sarebbe piaciuto», ammette Alon, 16 anni. Poi, lentamente, la folla si raduna all’angolo con la Diagonal Sur per incamminarsi verso la seconda parte del congedo itinerante. La vicaria delle villas, creata dall’allora cardinale Jorge Mario, ha articolato un percorso nella “geografia del dolore” di Buenos Aires: sei luoghi di sofferenza emblematici delle molteplici ferite aperte sulla pelle della capitale. Punti cari a Francesco. «Ma non vogliamo fermarci al ricordo. È il principio di un impegno a mantenere viva la sua eredità. A metterci in cammino per andare incontro ai caduti abbandonati ai margini della via. Questo è il nostro “patto di amore a Francesco”, come lo abbiamo chiamato. Non si tratta di parole. Lo abbiamo sottoscritto con i piedi, alzandoci dal divano – come ci chiedeva – e mettendoci davvero in marcia»,
sottolinea padre Toto De Vedia, parroco di Nostra Signora di Caacupé, nella Villa 21-24 di Barrajas, uno degli organizzatori. Immergendosi nella zona sud della capitale, i pellegrini hanno sostato davanti alla Casa di Mama Antula, prima santa argentina canonizzata durante questo Pontificato. Una pioniera che, alla fine del Settecento, nonostante i pregiudizi nei confronti delle donne, diffuse gli Esercizi ignaziani dopo l’espulsione della Compagnia. Poi si sono diretti nella vicina Plaza de la Constitución, epicentro della tratta e dello spaccio, dove ogni anno, Bergoglio celebrava una Messa per «gli schiavi contemporanei».
Da lì, hanno raggiunto l’ospedale psichiatrico Borda e il piccolo carcere di Muñiz. Il percorso si è concluso nella Villa 21-24 con una fermata al primo Hogar de Cristo, rifugio per i senza rifugio. Una creatura di Francesco che l’ha inaugurato lavando i piedi a dodici ragazzi vittime di dipendenza il 20 marzo 2008. Ora gli “Hogar di Cristo” sono oltre 200 in tutto il Paese. Infine, nell’umile e coloratissima chiesa di Caacupé, i villeros hanno voluto rinnovargli il proprio affetto con una preghiera comune. Seguita dal grido: «Vai in Cielo Francesco e fai molto “chiasso” da lassù».
(da Avvenire)
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