L’ASSALTO FALLITO IN ABRUZZO NON FRENA L’ALLEANZA TRA SCHEIN E CONTE: INDIETRO NON SI TORNA
ORA L’OPPOSIZIONE AI SOVRANISTI E’ COMPETITIVA: ELLY HA AVUTO IL MERITO DI CREDERCI E DI CONTINUARE A LAVORARCI
Ci hanno creduto fino alla fine. Sino all’ultimo hanno sperato nel bis del miracolo sardo, confortati dagli exit poll che in Abruzzo segnalavano un testa a testa alla vigilia niente affatto scontato. Quando però a notte fonda le prime proiezioni virano sulla sconfitta, nessuno ha voglia di recriminare. Al di là del risultato finale e della delusione per l’affluenza sotto le attese, un dato sembra infatti acquisito: dall’alleanza giallorossa non si torna indietro.
A dispetto delle alterne fortune, in fondo a un tormentato tira e molla, Pd e M5Stelle sono comunque destinati a unirsi in matrimonio: quanto sereno e duraturo sarà il tempo a dirlo, ma i due contraenti non sembrano avere più dubbi. Neppure il leader grillino, fin dal principio il più recalcitrante. Certo, resta da stabilire un dettaglio non da poco: chi fra Elly Schlein e Giuseppe Conte dovrà guidare la baracca, tuttavia è un discorso che può essere rinviato.
Ora sono i numeri ad avere la meglio, mettendo tutti d’accordo: divisi certamente si perde. Insieme, invece, la coalizione di Meloni & friends può essere sfidata alla pari. Rendendo contendibile ciò che nell’ultimo anno e mezzo è apparso inespugnabile: il governo del Paese.
Dopo l’ultimo test regionale — partita pressoché ingiocabile, se si considerano i 20 punti di distacco iniziale — l’asse sul quale per 527 giorni si è retto l’esecutivo che ha affrontato la pandemia non verrà messo in discussione. Pronto a trasformarsi nell’architrave del campo progressista, sebbene soggetto a revisione continua per volere dello stesso Conte, che ha già fissato una serie di paletti. Convinti, soprattutto al Nazareno, che una volta consolidata l’alleanza giallorossa si potrà via via allargare al centro, ai movimenti civici, alla sinistra. Come è già accaduto in Abruzzo, dove l’impresa è fallita per un soffio. E, se tutto va bene, in procinto di ripetersi in Basilicata.
Il capo del M5S se l’è lasciato sfuggire qualche giorno fa in tv: «Governeremo con il Pd. Da soli non siamo autosufficienti. Ambiziosi, sì, ma il 50,1% non credo che lo prenderemo», ha spiegato nel salotto di Lilli Gruber. Chiara indicazione di un orizzonte, da perseguire ma solo a determinate condizioni: «La Sardegna dimostra che il metodo che abbiamo impostato è quello giusto», la riflessione affidata ai suoi: «Ci si siede a un tavolo per concordare un programma comune e poi su questo si sceglie la figura più adatta a interpretarlo. Un metodo che andrà seguito anche a livello nazionale».
Dove però la strada, non proprio in discesa, è ancora tutta da percorrere: «Ci si dovrà necessariamente confrontare», insiste l’ex premier, «iniziando da quello che a oggi ci divide». Non poco, se si pensa per esempio alla politica estera.
A ogni modo una sterzata notevole rispetto ai distinguo del recente passato. Che la segreteria dem, autoproclamatasi «testardamente unitaria», aveva in fondo già previsto. «Per vincere il Pd non può fare a meno delle altre forze di opposizione, ma a maggior ragione loro non possono fare a meno di noi», il ragionamento condiviso con i fedelissimi. Al punto da incaponirsi per estendere la “sperimentazione” così ben riuscita sull’isola a tutte le città e regioni chiamate al voto: la semina su cui far germogliare l’alternativa. Perché «andando in giro per piazze e mercati, i cittadini mi hanno chiesto una cosa soltanto: unità» ha più volte ripetuto nelle ultime settimane.
Un progetto che Schlein intende realizzare a ogni costo. Decisa a sfidare chi, anche all’interno, l’accusa di subalternità ai 5Stelle, com’è successo all’indomani della scelta di Alessandra Todde.
A piegare l’area riformista, insofferente alle giravolte di Conte, in cui continua a riporre scarsa fiducia. «Insistendo su questa linea il Pd si è piazzato primo partito in Sardegna e in Abruzzo abbiamo costruito una coalizione larghissima», riflette la leader. Comunque sia, è il corollario, «tornare indietro sarà complicato». Mesi fa, quando le fratture in seno al centrosinistra sembravano insanabili, a profetizzarlo fu Pier Luigi Bersani: «A un certo punto scatterà la corsa a chi sarà più unitario». Ebbene, quel momento pare arrivato.
Una saldatura temuta pure dalla premier, che non a caso, oltre a spendersi in prima persona, tra Pescara e l’Aquila ha schierato mezzo governo, disposto a mirabolanti promesse pur di evitare la seconda sconfitta in un mese. Obiettivo: sabotare l’alternativa. Ma su questo, sebbene l’esito abruzzese non sia stato quello vagheggiato, Pd e M5S sono d’accordo: avanti insieme. Il percorso è avviato. Battere le destre si può.
(da La Repubblica)
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