LE CAZZATE DI TRUMP HANNO PROVOCATO UNA SERIE DI CONSEGUENZE INATTESE: HA RIAVVICINATO IL REGNO UNITO ALL’UE, HA RILANCIATO L’IMMAGINE DI TRUDEAU E ZELENSKY, HA RIACCESO IL SENTIMENT ANTI-RUSSO NEGLI USA
LA MOSSA DA VOLPONE DI ERDOGAN E IL TRACOLLO NEI SONDAGGI DI NETANYAHU (SE SALTA “BIBI”, SALTA ANCHE IL PIANO DI TRUMP PER IL MEDIO ORIENTE)
Si riparte da Riad. Martedì 12 marzo, Usa e Ucraina si ritroveranno a discutere per la tregua con la Russia, dopo l’imboscata fatta a Zelensky nello studio ovale da parte di Trump e il suo vice, JD Vance.
Chissà se, al momento di riallacciare i fili della diplomazia con Kiev, Trump avrà la lucidità di mettere in fila i pezzi di un puzzle che sembra essergli un po’ sfuggito di mano.
Il suo incedere da bulldozer, con 79 ordini esecutivi in 40 giorni, e l’approccio da cowboy coatto in politica internazionale ha innescato una serie di conseguenze che il tycoon non s’aspettava.
Non aveva, ad esempio, previsto che negli Stati Uniti albergasse un certo sentiment anti-russo. Ben pasciuta in cinquant’anni di guerra fredda, l’antipatia degli statunitensi verso i “sovietici” è riemersa in tutta la sua evidenza.
Il vicepresidente JD Vance è stato costretto a scappare dall’hotel in Vermont, dove si era recato con la famiglia a sciare, per la contestazione di alcuni cittadini che hanno mostrato cartelli con su scritto “traditore”, “vattene a sciare in Russia”. Anche un bel pezzo di partito repubblicano, educato alla competizione con Mosca non vede di buon occhio la mano tesa di Trump al Cremlino.
Il tycoon divenuto presidente, inoltre, non poteva immaginare che il fido alleato degli Stati Uniti, il Regno Unito, si schierasse inequivocabilmente al fianco dell’Unione europea in difesa dell’Ucraina.
Né era immaginabile che l’orsacchiotto Keir Starmer si trasformasse in un “Churchill laburista” abbracciando Zelensky appena 48 ore dopo la scazzottata verbale tra Trump e il presidente ucraino nello Studio ovale.
Fuori dalle previsioni della Casa bianca era anche la mossa del cavallo di Erdogan. Il “Sultano di Ankara”, fiutando la debolezza dell’Unione europea ha subito teso la mano a Bruxelles proponendosi come alleato sul dossier Ucraina, mettendo a disposizione i suoi 400mila soldati. Una strategia che punta a un obiettivo preciso: trascinare la Turchia all’interno dell’Unione europea
Imprevisto, infine, è stato il crollo della popolarità di “Bibi” Netanyahu in Israele. Il 60% degli israeliani vuole le dimissioni del premier, lo stesso su cui Trump ha puntato le sue fiches per costruire il nuovo Medio oriente (accordi di Abramo, resort a Gaza, eccetera). Una caduta del primo ministro a Tel Aviv, con elezioni anticipate dall’esito imprevedibile, potrebbe scalfire il progetto di Washington per la regione.
A queste “esternalità negative” se ne aggiungono altre. Per esempio, il tira e molla sui dazi: Trump è stato “costretto” a rinviare di un mese alle “tariffe” a Canada e Messico per evitare di scontentare i suoi elettori. È infatti emerso che i dazi avrebbero fatto impennare i prezzi dei fuoristrada pick-up tanto cari all’elettorato burino di Trump (con un rincaro fino a 7mila euro a veicolo).
La diplomazia maranza del Caligola di Mar-a-lago, inoltre, ha avuto come effetto inaspettato quello di rilanciare il consenso dei leader con cui si è scontrato direttamente.
E’ accaduto alla presidente del Messico Claudia Sheinbaum, che gode dell’80% dei favori del suo popolo, ma anche al povero Volodymyr Zelensky, risalito al 44%, e a Justin Trudeau.
Il premier canadese, fino a qualche settimana fa, era politicamente azzoppato. Ora, dopo lo scontro sui dazi con Trump, il suo partito si è ringalluzzito ed è cresciuto del 10%.
A proposito di Trudeau, una guerra commerciale con Ottawa finirebbe per far molto male anche agli Stati Uniti.
Il Canada è il quarto esportatore al mondo di petrolio, ma vende principalmente (il 97% del suo greggio) agli Usa, che decidono di fatto il prezzo. Se un domani la tensione arrivasse al punto di rottura, Trudeau potrebbe dirottare il suo petrolio sui mercati internazionali, finendo per fare concorrenza alle Big oil americane. Hai voglia a trivellare…
Nel “mondo al contrario” che Trump vuole creare (prima promette di ridurre i prezzi e poi innesca spirali inflattive attraverso i dazi), si iniziano a formare le prime fronde. I potentati economici americani “old style”, in prima linea uomini d’affari e banchieri (per capirci, quelli che preferiscono il buon vecchio dollaro alla criptovalute), hanno attivato un canale di comunicazione intenso con le controparti britanniche. L’obiettivo è disporre di un maggiore coordinamento sulle future mosse da compiere per non farsi trovare impreparati davanti all’imprevidibilità di Trump.
(da Dagoreport)
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