LE GABBIE SALARIALI E QUELL’INSANA VOGLIA DI DIVIDERE IL PAESE
OBIETTIVO DEI SOVRANISTI E’ AUMENTARE LA FORBICE TRA RICCHI E POVERI
Mentre il governo ha bloccato la proposta di salario minimo presentata dalle opposizioni sale la voglia di tornare a una qualche forma di gabbie salariali in nome del diverso costo della vita su base territoriale.
Ci aveva già provato il Ministro Valditara, con la sua proposta, subito cassata tra le proteste, di stipendi differenziati per gli insegnati a seconda del luogo in cui insegnano (ma a prescindere dalle differenze nel carico di lavoro richiesto dall’operare, ad esempio, in contesti più o meno difficili, o dal costo in termini di denaro e tempo richiesti dal pendolarismo).
Maggiore successo ha avuto l’ordine del giorno della Lega approvato ieri con il parere favorevole del governo, inteso a impegnare lo stesso esecutivo a «valutare l’opportunità di prevedere con apposito provvedimento un intervento sulla contrattazione del pubblico impiego” proponendo «una base economica e giuridica uguale per tutti, cui aggiungere una quota variabile di reddito temporaneo correlato al luogo di attività».
La giustificazione di questa richiesta starebbe nel fatto che lo stipendio unico nazionale potrebbe «comportare diseguaglianze sociali su base territoriale, creando discriminazioni di reddito effettivo». Ma la questione è stata posta anche riguardo sia al reddito minimo per i poveri sia al salario minimo legale che, se uniforme in tutto il paese, garantirebbe una capacità di acquisto differenziata a seconda se guadagnato a Napoli o a Milano.
Non c’è dubbio che il costo della vita per quanto riguarda i beni di mercato (abitazione e alimentazione innanzitutto) è molto differenziato su base territoriale, ma in modo molto più complesso e articolato di quanto non suggerisca una distinzione in base alle grandi ripartizioni territoriali. Lo documenta bene il lavoro fatto dai ricercatori dell’ISTAT per valutare l’incidenza della povertà assoluta basandosi sul costo di un paniere di beni essenziali. Le variazioni di costo si danno, appunto, non solo e tanto tra ripartizioni, ma tra regioni e tra comuni di diversa ampiezza all’interno di ciascuna regione. Quindi, se si volesse definire una quota variabile di stipendio sulla base del luogo di attività occorrerebbe un lavoro molto di dettaglio, perché, ad esempio il costo della vita a Meda è diverso che a Crema e in entrambi i casi è diverso da Milano, benché tutti e tre questi comuni si trovino in Lombardia. Va, inoltre, osservato che le variazioni intra-regionali sulla base dell’ampiezza del comune sono maggiori al Nord, dove in media il costo della vita è più alto, che nelle altre ripartizioni.
Alla luce di questi dati, verrebbe da chiedersi, nel caso dei salari, perché considerare per una eventuale differenziazione, il luogo di attività e non di residenza, visto che lavorare a Milano abitando a Meda, anche al netto del costo del trasporto, ha costi inferiori (sicuramente per l’abitazione) che non lavorare e abitare a Milano.
Ma c’è una questione che ogni discussione sulla necessità di tener conto del diverso costo della vita non dovrebbe ignorare e andrebbe preliminarmente affrontata: la differenziazione, meglio le disuguaglianze, nella disponibilità di beni pubblici: servizi sanitari accessibili ed efficienti, servizi per l’infanzia, scuole a tempo pieno, servizi domiciliari per le persone non autosufficienti, servizi di assistenza sociale, trasporti pubblici efficienti, reti viarie adeguate, sicurezza. Queste diseguaglianze sono in larga parte, anche se non del tutto, simmetriche a quelle nel costo della vita, tra regioni e tra macro-aree, ma anche all’interno della stessa regione, consentendo gradi di soddisfacimento dei bisogni e qualità della vita, a parità di reddito e caratteristiche individuali e familiari anche molto differenti. Si pensi solo alla lontananza dai servizi e talvolta alle difficoltà, o tempi lunghi, di trasporto che sperimentano coloro che vivono nelle aree interne per rispondere alle proprie esigenze di lavoro, salute, educazione. Fino a quando non verrà garantita a tutti, ovunque risiedano, una disponibilità di beni pubblici omogenea per quantità e qualità, ogni discorso sulla diversità del costo della vita e proposta di correggerla diversificando i salari (ma anche il reddito minimo) rimane non solo parziale, ma ulteriormente distorsivo.
(da La Stampa)
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