LE ISPEZIONI SU STRALLI ERANO FALLITE, IL MINISTERO DI TONINELLI HA APPROVATO UN PROGETTO INCOMPLETO
IL RAPPORTO DEGLI INGEGNERI DI SPEA-AUTOSTRADE…LA DIREZIONE DELLA VIGILANZA ACCETTO’ L’OMISSIONE
Le foto shock del ponte Morandi di Genova prima del crollo non erano superate, come invece sostiene la società di gestione Autostrade per l’Italia . E non lo sono tuttora. Quelle immagini, oltre a rivelare le condizioni del degrado che ha portato al disastro e ha ucciso quarantatrè persone, dimostrano che il ministero delle Infrastrutture ha approvato alla cieca il progetto presentato dalla concessionaria: senza cioè conoscere le reali condizioni di conservazione del calcestruzzo degli stralli, le bretelle a cui era appeso il viadotto.
Non lo potevano sapere per una ragione: le indagini diagnostiche, fondamentali per misurare il livello attuale di precompressione del cemento armato e il grado di intervento necessario, erano miseramente fallite nell’ottobre 2015 e non sono state ripetute.
Dopo notti trascorse sotto la pioggia aggrappati ai montacarichi a estrarre “carote” di calcestruzzo dalla struttura gli ingegneri di Spea, lo studio di progettazione collegato ad Autostrade, ammettono con 41 pagine di rapporto che su cinque prove ne hanno praticamente fallite quattro e una ha dato risultati contrari alle attese.
È andata male anche per colpa del maltempo e dell’umidità : per questi carotaggi hanno scelto il periodo tra il 12 e il 30 ottobre 2015. Nessuno ha evidentemente pensato di consultare le previsioni meteo o di programmare l’ispezione durante la bella stagione.
LA SPINA DORSALE DELLE INDAGINI
Il percorso seguito dal progetto di manutenzione del ponte sul torrente Polcevera, reso ora inutile dal crollo del 14 agosto, è la spina dorsale dell’inchiesta della Procura: approssimazioni e sviste rivelano non solo errori colposi, ma anche il sospetto che qualcuno fosse consapevole che non c’era più tempo da perdere.
A pagina 28 della relazione generale presentata da Autostrade al ministero, una nota spiega che al progetto esecutivo mancavano ancora informazioni essenziali: «Dovrà essere realizzato un rilievo delle armature di precompressione prima di effettuare le lavorazioni interferenti con le stesse», scrivono Emanuele De Angelis e Massimiliano Giacobbi, gli ingegneri di Spea che firmano il documento.
E aggiungono: «Prima di posizionare i blocchi di ancoraggio, valutare lo stato di conservazione dei calcestruzzi». Al di là della riduzione per corrosione del 20 per cento dei cavi rilevata dalle indagini riflettometriche (misurando la resistenza al passaggio della corrente elettrica), al di là dei calcoli teorici, De Angelis e Giacobbi avvertono con questa nota di non avere dati per determinare il vero stato di salute di parti essenziali del ponte: come le altissime antenne di cemento armato a cui dovranno ancorare i nuovi tiranti.
E quindi se non lo sanno i progettisti, nemmeno al ministero possono garantire il successo dell’intervento di “retrofitting”: cioè il potenziamento delle prestazioni di carico che, senza la conoscenza di dettagli fondamentali, potrebbe anche non migliorare ma peggiorare le condizioni del viadotto.
Allora perchè approvano il progetto così com’è? Senza prescrivere quelle necessarie precauzioni che, vietando il transito ai mezzi pesanti, avrebbero forse evitato il disastro.
Quando si arriva alla fase esecutiva della progettazione, quelle informazioni dovrebbero essere già acquisite ed elaborate.
Lo stabilisce la legge, con l’articolo 33 del Decreto del presidente della Repubblica 207 del 2010: «Il progetto esecutivo costituisce la ingegnerizzazione di tutte le lavorazioni e… definisce compiutamente e in ogni particolare architettonico, strutturale e impiantistico l’intervento da realizzare». Inoltre: «Il progetto (esecutivo) è redatto nel pieno rispetto del progetto definitivo».
E poi l’articolo 29: «I calcoli delle strutture e degli impianti (del progetto definitivo) devono consentire di determinare tutti gli elementi dimensionali, dimostrandone la piena compatibilità con l’aspetto architettonico e impiantistico e… con tutti gli altri aspetti del progetto… a un livello di definizione tale che nella successiva progettazione esecutiva non si abbiano significative differenze tecniche e di costo».
E l’articolo 37: «I calcoli esecutivi degli impianti sono eseguiti con riferimento alle condizioni di esercizio o alle fasi costruttive qualora più gravose delle condizioni di esercizio…».
Ma senza informazioni aggiornate sullo stato di conservazione del calcestruzzo, quali condizioni reali di esercizio del ponte hanno calcolato? Stando al verbale del comitato tecnico amministrativo del Provveditorato di Genova, non lo chiedono nè i quattro relatori, nè il presidente-provveditore Roberto Ferrazza quando il primo febbraio si riuniscono e approvano l’intervento.
Si scopre oggi, ed è la seconda novità clamorosa, che il progetto definitivo non è mai stato consegnato al ministero.
I livelli di progettazione stabiliti dalla legge sono infatti tre: fattibilità , definitivo, esecutivo. Società Autostrade però decide di passare subito alla terza fase, riducendo così i tempi di studio e di riflessione sulle soluzioni proposte. Se, come dichiarano, nessuno si era reso conto del pericolo di crollo, perchè tanta fretta per un intervento così complicato?
MANCA IL PROGETTO DEFINITIVO
La decisione viene comunicata il 15 dicembre 2017 al provveditore Ferrazza da Vincenzo Cinelli, capo al ministero della Direzione generale per la vigilanza sulle concessionarie autostradali. Nella raccomandata con cui viene trasmesso il progetto da Roma e Genova, Cinelli conclude così: «Si vuole significare che la redazione del progetto definitivo non è stata eseguita in ordine all’articolo 23, comma 4, del decreto legislativo numero 50/2016». È il codice degli appalti. E quel comma stabilisce che «è consentita l’omissione di uno o di entrambi i primi due livelli di progettazione, purchè il livello successivo contenga tutti gli elementi previsti per il livello omesso, salvaguardando la qualità della progettazione». Elementi che, come abbiamo visto, sono carenti.
A questo punto, avendo già saltato le fasi di fattibilità e definitiva pur trattandosi di un ponte molto delicato, tocca a Ferrazza nominare relatori preparati: saranno loro a discutere il progetto esecutivo di fronte al comitato tecnico del Provveditorato a Genova.
Invece Ferrazza scarta i dirigenti: qualcuno in città sostiene che i vertici ministeriali volessero tenersi liberi da incompatibilità per ottenere consulenze da Autostrade nei futuri collaudi del viadotto.
Vengono così incaricati due semplici funzionari che i ponti li conoscono più come automobilisti: Giuseppe Sisca è un ingegnere della motorizzazione che insegna nelle scuole guida, Salvatore Buonaccorso si occupa di certificazione di imprese.
Il terzo relatore scelto come esperto esterno è Mario Servetto, ingegnere ed ex assessore a Recco in provincia. Antonio Brencich, professore associato del Dipartimento di ingegneria di Genova, non appare nell’atto di nomina. Viene aggiunto dopo. Chi l’ha proposto? Convocato dalla Procura tra i primi venti indagati, Brencich ha scelto di non rispondere alle domande dei magistrati.
Eppure che quel progetto non possa pienamente definirsi “esecutivo” è scritto nell’allegato C della relazione generale, allegato intitolato: «Indagini diagnostiche sugli stralli di pila 9 e pila 10».
Quello che il 14 agosto ha ucciso uomini, donne, bambini e intere famiglie in viaggio per le vacanze, è proprio il pilone numero 9. La precompressione nel calcestruzzo, ottenuta grazie ai cavi di acciaio che attraversano la struttura da parte a parte, è fondamentale per aumentare la resistenza ai carichi.
Se i tiranti interni si allentano o si spezzano per la corrosione, la trave di cemento armato si flette, diventa più fragile e cede. Per questo nell’ottobre 2015 i tecnici di Spea salgono sul ponte Morandi: «Al fine di valutare sia le condizioni di conservazione quanto le caratteristiche meccaniche del calcestruzzo e delle armature, lente e di precompressione, sia lo stato tensionale degli stralli dei sistemi bilanciati di pila 9 e 10». Dice così la pagina 4 del loro rapporto, datato gennaio 2016. E così loro speravano. Ma le conclusioni sono surreali.
«Durante la prova c’era pioggia intermittente che ha ostacolato notevolmente le attività di installazione e di lettura degli estensimetri», annotano Alessandro Costa, Leonardo Veronesi, Maurizio Ceneri con l’approvazione di Giampaolo Nebbia, direttore tecnico di Spea.
In quel momento sono sulla pila 10, lato mare: «È poi stato necessario staccare i fili dai connettori e proteggerli all’interno della superficie di carotaggio… Il comportamento rilevato dal sistema di misura estensimetrico è anomalo e non interpretabile… probabilmente non si è incollato perfettamente a causa della superficie umida del calcestruzzo per la pioggia, sia per le saldature dei cablaggi dei fili bagnati… Si sottolinea inoltre che una condizione necessaria per aumentare la probabilità di riuscita della prova di liberazione delle tensioni sarebbe non staccare i fili dal sistema…» che però, scrivono loro, in tutte le prove vengono staccati.
IL FIASCO TOTALE
Finisce così, pagine 35 e 36 del rapporto, su carta intestata Spea-Autostrade. Prima prova, pila 10, lato mare, lato Savona: «Non è riuscita, infatti si sono ottenuti risultati non interpretabili». Seconda prova, pila 10, lato monte, lato Genova: «I valori misurati non sono attendibili, in quanto presentano delle variazioni decisamente eccessive… che non ne permettono nemmeno una fantasiosa interpretazione». Terza prova, pila 10, lato monte, lato Savona: «È quella apparentemente meglio riuscita, anche se i valori misurati dai due estensimetri sono discordi (uno è positivo e uno è negativo)… per poi essere concordi la mattina seguente». Ma qui lo strallo anzichè essere compresso sembra in trazione: «È sottoposto, almeno superficialmente, a una tensione di trazione, infatti… dopo il carotaggio gli estensimetri hanno misurato un accorciamento della superficie».
Poi ecco la quarta prova, pila 9, quella crollata, lato mare, lato Savona: «I valori misurati dai due estensimetri sono discordi, uno è positivo e uno è negativo» nella notte, «per essere concordi, entrambi con segno negativo, la mattina seguente». E la quinta prova, pila 9 lato mare, questa volta lungo lo strallo rivolto a Genova: «I valori misurati non sono attendibili». Proprio quei due, gli stralli della pila 9 lato mare, sono forse i primi a rompersi, dopo il probabile sfondamento di una trave al passaggio di un Tir da 44 tonnellate, carico di acciaio destinato all’Ilva di Novi Ligure.
LA STORIA DEI TASSELLI
Si salvano solo le prove di “pull-out”, di estrazione, «eseguite per stimare la resistenza a compressione del calcestruzzo». Ma vengono bocciate dal comitato tecnico amministrativo del provveditore Ferrazza: «Nella letteratura scientifica è documentato che determinati tasselli per pull-out… potrebbero portare a sovrastime anche del 100 per cento della resistenza del calcestruzzo», è scritto nel verbale. Ma le osservazioni si fermano lì.
Nessuno nell’organo territoriale di controllo del ministero nota le carenze del progetto esecutivo e delle indagini che lo compongono.
I progettisti spiegano che bisogna rinforzare la campata E11 tra la pila 9 e la pila 10, proprio quella che forse è caduta per prima al passaggio del Tir da 44 tonnellate.
Da nessuna parte però si descrivono i lavori straordinari fatti su quelle stesse travi tra il 2014 e il 2016. E affidati da Autostrade alla Soteco di Aulla in Toscana, una Srl di due geometri e 25 dipendenti che come principale attività non promuovono il potenziamento di viadotti ma l’installazione di barriere antirumore e rivestimenti di gallerie.
No, nessuno nel comitato ha altro da dire. Progetto approvato. Passano sei mesi prima del crollo. Ponte Morandi sta per morire e loro, quel giorno a Genova, pensavano ai tasselli.
(da “L’Espresso”)
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