LE MOGLI DEI SOLDATI DEL REGGIMENTO AZOV IN PIAZZA, CANTANDO A SQUACIAGOLA L’INNO NAZIONALE: “MANDATE LORO CIBO E MUNIZIONI, NON C’E’ PIU’ TEMPO DA PERDERE, EVACUARE I FERITI”
“MIO MARITO FERITO MI HA DETTO CHE MEGLIO MORIRE CON LE ARMI IN PUGNO E CHE IN UN OSPEDALE”
«Sto bene, sono ancora vivo. Chiama mia madre e dille che sto bene, se lo faccio io si mette a piangere». Dall’acciaieria Azovstal, Pavlo riesce a sentire la sua Olya una volta a settimana. «Lui mi dice che va tutto bene, ma io lo so che non è vero: stanno finendo il cibo e le munizioni. Non c’è più tempo da perdere», lei all’ANSA.
Appena 20 anni come suo marito, sposato da uno, la moglie del soldato del battaglione Azov circondato dai russi a Mariupol, è venuta apposta a Kiev da Ternopil, nell’ovest dell’Ucraina, per manifestare nella celebre Maidan insieme ad altre dieci di mogli, madri, sorelle.
Chiedono di far evacuare i civili ei feriti, di salvare i loro uomini intrappolati o di fargli arrivare più armi perché possono resistere ancora. Il viso dipinto di rosso sangue o dei colori della bandiera nazionale, in braccio dei peluche, anche questi insanguinati, per ricordare che nei cunicoli dell’acciaieria ci sono anche dei bambini.
Intonano l’inno nazionale, scandiscono slogan, innalzano cartelli rivolti al governo ucraino, all’Onu, alla Croce Rossa, ma anche a Joe Biden, a Emmanuel Macron, a chiunque sia disposto ad aiutarle. «Salvate Mariupol», «Salvate i nostri soldati», «Salvate Azovstal», «Salvate Azov» recita un altro poster con la foto di un uomo che piange un bambino, mentre nella piazza altri bimbi, ignari e fortunati, giocano a rincorrersi tra file di tulipani rossi e alberi in fiore.
La bandiera gialla e blu sulle spalle, Valentina, 26 anni, nasconde le lacrime dietro a grandi occhiali da sole. Il suo Valery, come lei originaria di Mykolaiv, «due settimane fa è stato ferito alle gambe e al volto. Ha detto che non vedeva più niente. Però mi ripete che “è meglio morire con le armi in pugno che morire in un ospedale”».
«Devono mandargli altre armi, garantire corridoi umanitari o scambi di prigionieri”, dice ancora Valentina, che con Valery progetta «una grande famiglia, con tanti figli, quando tutto questo sarà finito». «Mio marito deve tornare sano e salvo», si commuove e abbraccia l’ amica.
Le compagne di sventura cantano sempre più forte. Tra loro riescono a sorridere ma davanti alle telecamere dei giornalisti sanno accomodarsi in posa, i volti tesi, gli sguardi corrucciati o assenti.
Due anziani si godono il sole di una primavera incombente seduti su una panchina nel centro di Maidan ancora svuotata dalla guerra e circondati da sacchi di sabbia e cavalli di Frisia. Dall’altro lato Khreshchatyk, lo stradone a sei corsie che taglia in due la piazza e dove emergono quelle due stele che riportano il numero delle vittime: 4.436 ucraini uccisi.
(da La Stampa)
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