LEGA, CONFRONTO SALVINI-BOSSI, VERSO LA SFIDA A CHI RUTTA PIU’ FORTE
GLI ALTRI CANDIDATI PRONTI A SFILARSI… LA LINEA POCO ISTITUZIONALE DI SALVINI NON CONVINCE IL GRUPPO DEI SINDACI….ZAIA: “RISCHIAMO DI ANDARE AL MASSACRO”
Umberto Bossi che non molla e insiste con la sua candidatura «perchè la Lega va male e va rimessa in sesto», Gianluca Pini che viene escluso per un vizio di forma e presenta ricorso al segretario federale «per far prevalere il buonsenso contro i cavilli italici», il pressing per far ritirare la candidatura di Giacomo Stucchi e infine Roberto Maroni che sente il dovere di fare il suo endorsement per Salvini («spero che la base lo indichi come segretario»).
La sintesi perfetta per descrivere la Lega in versione precongressuale è quella del presidente veneto Luca Zaia: «Con questa mischia al centro rischiamo di andare al massacro».
Lo stesso Flavio Tosi l’ha capito e si è fatto da parte, per evitare di restare invischiato in una lotta tra microfrazioni.
Candidato unico
Per la prima volta nella storia del Carroccio, il ruolo di segretario è conteso tra più persone. Non è mai stato così — ovviamente — nell’era Bossi, ma non è stato così nemmeno lo scorso anno, quando la platea del congresso ha eletto (quasi all’unanimità ) l’unico candidato, Roberto Maroni, dopo il discorso di Bossi che con la citazione biblica di Re Salomone aveva puntato sulla necessità di dare unità al partito.
Oggi è tutta un’altra storia e il partito è frazionato non solo in correnti interne, ma in fazioni diverse tra le stesse correnti.
Per intenderci: non esistono più i maroniani, compatti, contrapposti ai bossiani, come succedeva fino allo scorso anno.
Anche nella componente che si è sempre stretta attorno al segretario uscente ci sono divisioni, prevalentemente di tipo geografico, ma non solo.
La base e le istituzioni
Matteo Salvini è indubbiamente il candidato più accreditato alla vittoria finale, anche se i malumori verso “il Renzi leghista” (copyright di Maroni) sono forti.
Ma le altre candidature (eccezion fatta per quella di Bossi, che merita un discorso a parte), dovrebbero azzerarsi da qui al 30 novembre, quando ci sarà la presentazione ufficiale dopo la raccolta firme.
Gli altri dirigenti che si sono fatti avanti hanno voluto dare un messaggio a Salvini: attenzione, la Lega del futuro dovrà sì avere una componente “movimentista” (che Salvini incarna benissimo), ma anche cercare di mantenere un profilo istituzionale.
Per intenderci: sì al fazzoletto verde al collo, ma anche alla pochette nel taschino della giacca. È questo il senso della candidatura di Giacomo Stucchi, per esempio, che rappresenta le istanze di una cinquantina di sindaci bergamaschi e non solo che non si sentono troppo rappresentati da Salvini.
Oppure quella di Manes Bernardini, in campo per ricordare che i confini della “Padania” non si limitano a Piemonte, Veneto e Lombardia.
Verso il passo indietro
Oggi sono in campo, tra tre settimane – se Salvini presentasse un programma soddisfacente – magari no.
Lo stesso Stucchi, il più “pericoloso” tra gli sfidanti di Salvini, non pare intenzionato a restare aggrappato alla sua candidatura.
Continuerà a fare il presidente del Copasir, magari verrà promosso a presidente della Lega Lombarda, ruolo ora occupato da Salvini.
E anche il “caso Pini” potrebbe presto rientrare: il romagnolo ha fatto ricorso contro il rigetto della sua candidatura e si vocifera che presto sarà reintegrato da Maroni, a patto che anche lui faccia un passo indietro per lanciare Salvini.
Il consigliere del varesotto, Roberto Stefanazzi, è visto un po’ come “il Pittella” della Lega e non sembra in grado di raccogliere molti consensi.
Il vero ostacolo
Sulla strada di Salvini, dunque, sembra esserci soltanto Umberto Bossi. In nome dell’unità del movimento invocata dallo stesso Senatùr in occasione dell’elezioni di Maroni, tutti sperano in un gesto eclatante del vecchio Capo: un passo indietro e la benedizione per Salvini, un personaggio di certo non ostile a Bossi.
Anche perchè la corrente pronta a dare anima, cuore e voto per lo storico leader è nettamente minoritaria e andare alla conta potrebbe essere umiliante.
Ma l’imprevedibilità di Bossi, e di chi lo circonda, rischia di complicare le cose. E riaprire i giochi anche per gli altri candidati, che in quel caso potrebbero portare avanti la loro corsa fino al 7 dicembre in un devastante gioco al massacro.
Marco Bresolin
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