LEGITTIMO IMPEDIMENTO SUL REFERENDUM: GIOCO POLITICO ATTORNO ALLA SALUTE DI SILVIO
DAL RITORNO IN CAMPO A NIENTE COMIZI, IL DISIMPEGNO DALLA CAMPAGNA REFERENDARIA
Un alone di mistero avvolge la salute di Silvio Berlusconi: “Mi pare buona cosa che non si sappia nulla — dice Sestino Giacomoni, ombra del Cavaliere assieme a Valentino Valentini — il che significa che le informazioni restano riservate”.
Gli ultimi spifferi dicono che potrebbe rimanere a New York qualche giorno in più e rientrare alla fine di questa settimana perchè ha un po’ di incontri con imprenditori e per evitare un nuovo stress da volo.
La verità è che attorno alla “salute” di Berlusconi è in atto una grande operazione politica, per giustificare la grande assenza dalla pugna referendaria.
Non è il “raffreddore” di Cernernko di cui parlava il Cremlino, ma i periodici referti delle nebbie di Arcore si spiegano più con la sapienza politica che con la scienza clinica.
Ecco che, una settimana fa, da Villa San Martino trapelava che l’ex premier sarebbe rientrato in campo a metà novembre, per la conferenza programmatica; bagni di folla, selfie, strette di mano, comizio appassionato in una sala a trenta gradi: “sta bene”, “un quarantenne”, “tornerà più forte di prima”.
Ora trapela che i medici del Presbyterian Hospital, evidentemente più appassionati al referendum nostrano che alla competizione Trump-Hillary, si sono affrettati a prescrivere cautela e riposo, vietando bagni di folla, selfie, strette di mano, comizio appassionato in una sala da trenta gradi.
Ovvero ciò che la famiglia e i medici del San Raffaele avevano detto dal primo minuto. E cioè che il Cavaliere può fare una vita da “padre nobile”, sia per la politica sia per le aziende, che indirizza, si interessa, dispensa consigli, ma non può sottoporsi a stressa psico-fisici e certo non può lavorare 18 ore al giorno.
Adesso della conferenza programmatica, ribattezzata come il terzo Predellino, già nessuno parla più.
E Stefano Parisi, che troppo presto aveva immaginato per sè il ruolo di protagonista del “dopo”, ha già toccato con mano di essere solo l’ultimo di una serie di aspiranti leader che è rimasto incastrato nelle contorsioni del prima.
Più di un parlamentare ne ha raccolto gli sfoghi amari su Berlusconi, che lo ha “buttato in mezzo”, “bruciandolo” anzitempo.
E c’è un motivo se Matteo Salvini e Giorgia Meloni, usciti da Arcore la scorsa settimana, si sono chiesti “chissà quanto dura”.
Ecco che una settimana dopo si apprende che, mentre con una mano l’ex premier vergava il comunicato della guerra a Renzi, con l’altra aveva programmato il viaggio in America, proprio nei giorni del Ruby ter, dove i suoi avvocati hanno presentato una certificazione medica, per chiedere l’istanza del rinvio dell’udienza, come effettivamente avvenuto.
Nel giro degli avvocati legati all’ex premier a microfoni spenti più di uno parla di verifiche cliniche ad arte per evitare il processo.
In Parlamento c’è qualcuno che parla chiaro, a microfoni spenti: “È tutto molto semplice. Berlusconi sta come stava una settimana fa, ha solo avuto un lieve malore all’atterraggio perchè impaurito e stressato, solo che i controlli americani sono diventati l’alibi perfetto per le due cose che gli stanno a cuore: rinviare i processi e non mettere la faccia sul referendum”.
Insomma, la salute come legittimo impedimento su tutto, come un modo onorevole per congelare la storia, all’ombra dell’ultimo capitolo del conflitto di interessi: “Berlusconi — prosegue il parlamentare — vuole stare a guardare che succede. Parliamoci chiaro: se il sì vince di tanto, la vittoria è tutta di Renzi, se vince bene il no è tutta di Grillo, lui aspetta e prova a stare in partita o con una vittoria di misura del no o del sì, quando si aprirà la trattativa sulla legge elettorale”.
La salute, appunto, come politica.
Perchè prendere atto e ammettere che non potrà fare più comizi significherebbe aprire ufficialmente il dopo, anche nel suo partito.
Prolungare il gioco di cure, verifiche di salute, promesse di ritorno in campo, è comunque un modo per giocare da leader questo passaggio, anche alla guida di un partito im cui il cuore non batte più e dove i suoi elettori, per il 40 per cento, sono orientati a votare la riforma di Renzi.
(da “Huffingtonpost“)
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