L’EPOCA DEI FAVORI DA BRUXELLES È FINITA: CON IL NO A URSULA VON DER LEYEN, LA MELONI SI È GIOCATA LA BENEVOLENZA DELLA NUOVA COMMISSIONE UE, NEL MOMENTO PEGGIORE PER L’ITALIA
IL GOVERNO DOVRÀ TROVARE 13 MILIARDI ALL’ANNO PER FAR RIENTRARE IL DEFICIT E RISCHIA DI RIMANERE AL PALO SUL PNRR… NELLE EURO-CANCELLERIE C’È IL SOSPETTO CHE LA DUCETTA SI STIA RICONVERTENDO AL “TRUMPISMO”
Le prossime tranche del Pnrr, la procedura di rientro dal deficit, il fastidio della struttura europea, la delega al Commissario italiano e il sospetto di “trumpismo”.
Sono questi i problemi con cui Giorgia Meloni dovrà fare i conti in seguito alla scelta di non votare Ursula von der Leyen. Conseguenze che stanno sempre più isolando il nostro Paese. E con il tempo se ne determineranno ancora di più.
Tutto si sta già modificando. Molto rapidamente. E in un modo che certo non favorisce ora e non agevolerà nel prossimo futuro gli interessi nazionali del nostro Paese. L’aspetto meno immediato ma dagli effetti forse peggiori si concentra sul fattore che si potrebbe denominare “trumpismo”.
La scelta di schierarsi contro von der Leyen mettendosi al fianco di Le Pen, Orbán e Salvini viene letto come il tentativo di creare un nuovo fronte “trumpiano”. Quasi tutte le Cancellerie ritengono che a Roma sia in corso una rapida ricollocazione con una conversione amichevole nei confronti di ”The Donald”.
Una situazione che comporta un rischio corposo per l’Italia: emarginazione in politica estera. Il “gruppo di comando” dell’Ue si preparerà da novembre in poi – se davvero il Tycoon americano sarà eletto – a fronteggiare una probabile politica non amichevole della Casa Bianca e l’Italia sarà sospinta nell’angolo in cui si trovano l’Ungheria, la Repubblica Ceca o il Rassemblement National di Le Pen.
Il secondo aspetto, invece più prossimo, è il Pnrr. Il governo Meloni ha beneficiato di alcune indulgenze nelle tranche ottenute fino ad ora. Soprattutto grazie al via libera ottenuto “alleggerendo” gli impegni in questa prima parte di attuazione e “appesantendoli” nella parte finale fino al 2026.
Una opzione che avrà anche una ripercussione sulla formazione del debito pubblico: una parte rilevante dei “loans” (i prestiti) è stata spostata sugli ultimi anni del Piano e quindi il debito è destinato a crescere. La Commissione, allora, non avrà un atteggiamento punitivo ma imparziale. E quindi con meno accondiscendenza. E già solo questo sarà un bel problema per il governo.
Che, se perdesse anche solo una tranche di finanziamenti, sarebbe costretto a rivedere molte delle stime su deficit e debito e anche a fronteggiare la probabile reazione dei mercati. Non a caso Palazzo Chigi sta valutando la candidatura di Raffaele Fitto in qualità di Commissario come una chance per entrare a Palazzo Berlaymont con uno dei pochi esponenti della destra non disprezzato a Bruxelles, ma non nasconde il dilemma sulla sua sostituzione a Roma.
A questo aspetto è strettamente connesso il programma di rientro dal deficit eccessivo che il governo italiano dovrà presentare il prossimo settembre. Il nuovo patto di Stabilità concede 7 anni per tornare sotto il 3 per cento. Ma questo significa una politica economica di lacrime e sangue con risparmi annuali di almeno 13 miliardi. Pure in questo caso difficilmente la Commissione, nonostante il no di “Giorgia a Ursula”, seguirà una linea dichiaratamente sanzionatoria ma non si muoverà di un centimetro dai parametri. Non farà insomma regali.
E nella situazione italiana vuol dire che le prossime manovre saranno senza margini. Dalle pensioni alle tasse fino agli stipendi. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, lo ha capito bene e già nei giorni scorsi ha fatto intendere esplicitamente che una riforma previdenziale nel segno annunciato dalla destra in campagna elettorale è letteralmente impossibile.
Infine c’è un ultimo aspetto che peserà dopo la decisione di opporsi alla rielezione di von der Leyen: la struttura di Bruxelles. Gli uffici delle istituzioni europee non si si sentono rappresentati e garantiti dal gabinetto meloniano. Conseguenza: nessuna ostilità ma nemmeno nessuna cortesia.
(da la Repubblica)
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