L’INCANTESIMO TRA TRUMP E MUSK SI È GIÀ ROTTO: AUMENTANO LE DIVISIONI DI VEDUTE E I SEGNALI DI FASTIDIO TRA I DUE EGOMANI, SOPRATTUTTO DOPO CHE “THE DONALD” HA SCATENATO LA GUERRA COMMERCIALE CONTRO LA CINA, METTENDO IN PERICOLO GLI AFFARI DI ELON
IL TEAM DEL COATTO DELLA CASA BIANCA CONSIDERA ELON UN ESTRANEO CHE RIFIUTA IL GIOCO DI SQUADRA, MA È PRESTO PER DIRE CHE SIAMO ARRIVATI AI TITOLI DI CODA DI UN RAPPORTO CHE SERVE A ENTRAMBI
Diversissimi – Elon re del digitale, Donald immerso nell’analogico – simili solo nel narcisismo, Musk e Trump sembravano inconciliabili. E, invece, i due hanno trovato nella disruption un terreno d’azione comune. Un collante che sembrava destinato a durare: al presidente l’imprenditore di Tesla e SpaceX e gli altri tecnologi trumpiani della Silicon Valley erano parsi capaci di dare concretezza con le loro capacità ingegneristiche al suo forte ma indefinito desiderio di demolire il regime esistente.
Per Musk e gli altri tycoon Trump era, invece, il bulldozer capace di rimuovere vincoli e tutele che rallentano il ritmo delle loro innovazioni. Con obiettivi ambiziosi di lungo periodo (portare nel 2028 alla Casa Bianca il loro uomo: Jdù
Vance) e vantaggi immediati (i valori della Tesla di Musk e della Palantir di Peter Thiel raddoppiati in poche settimane).
L’idillio
A chi obiettava che l’Iron Man venuto dal Sudafrica che vuole trasferire l’umanità su Marte e l’immobiliarista abituato a sfidare il prossimo sui tavoli negoziali o nelle aule dei tribunali (ha affrontato 4.000 cause civili e penali) erano specie troppo diverse per poter andare d’accordo, venivano opposti l’entusiasmo di Musk per la nuova avventura politica e l’interesse di Trump a usare l’immensa popolarità di Elon facendone un apripista
Sono bastate un paio di settimane per demolire quelle apparenti certezze. Chi parla di un’alleanza già arrivata ai titoli di coda esagera: Donald continua ad avere un debole per Elon che trova affascinante, anche se a volte dannoso, mentre Musk ha investito troppo in politica per poter mollare tutto. Ma non c’è dubbio che l’incantesimo è rotto.
In questi giorni i segnali di allontanamento tra i due sono stati soprattutto quelli di un Musk che non nasconde la sua contrarietà alla politica dei dazi del presidente. Ma i guai erano cominciati già con la sconfitta elettorale in Wisconsin: il candidato repubblicano per la Corte Suprema fortemente sostenuto da Musk con denaro e impegno personale nei comizi battuto con ben 10 punti di scarto.
Il team di Trump che considera Elon un estraneo, uno che rifiuta il gioco di squadra, lo aveva subito attaccato e il presidente, preoccupato per il voto di midterm , aveva fatto capire che il suo impegno nel Doge (riforma amministrativa) verrà ridotto.
L’imprenditore miliardario, scottato da quell’esperienza, non ascoltato dal presidente sui dazi, ha deciso di uscire allo scoperto contestando la linea Trump nel suo intervento al congresso della Lega: «Ho proposto al presidente una zona di libero scambio Europa-Usa senza dazi» al posto dei balzelli appena imposti alla Ue.
Il giorno dopo ha attaccato con violenza Peter Navarro, lo stratega della Casa Bianca, gran sostenitore di una politica di alti dazi per punire amici e avversari, soprattutto la Cina. Per Elon un personaggio mediocre, con «un ego che eccede l’intelligenza».
Poi, poco notata perché non proveniente direttamente da Elon, è arrivata la sberla di suo fratello Kimbal, molto legato a lui: è nel board di Tesla ed è stato direttore di SpaceX. Kimbal, che ha parlato prima della moratoria di 90 giorni, ha definito i dazi di Trump «una tassa permanente sui consumatori Usa» e, poi, ancora «la più alta tassa introdotta da un presidente in America da molte generazioni a questa parte».
Tesi opposta a quella di Trump secondo il quale i dazi non sono una tassa sul consumatore americano, ma una punizione nei confronti degli esportatori stranieri che invadono il mercato Usa.
Ma l’intervento più urticante, quello col significato politico più pesante, anche se non compreso da tutti, Musk l’ha fatto attraverso un meme: un vecchio filmato in bianco e nero di due minuti nel quale l’economista liberista Milton Friedman spiega, descrivendo le varie parti di una matita — grafite, legno, gomma, lacca, guarnizione di metallo — come e perché i commerci senza barriere sono essenziali per produrre in modo efficiente, riducendo i costi.
Una lezione trasmessa a Trump datata 1980: l’anno dell’elezione di Ronald Reagan, tuttora figura di grande rilievo nell’Olimpo repubblicano, che seguì l’insegnamento di Friedman. Dal quale, invece, Trump si sta distanziando sempre di più.
Per alcuni il rapporto si è logorato perché il segno più è stato sostituito da quello meno: Musk non fa più guadagnare voti, ma li fa perdere. Mentre Trump promette nuove età dell’oro ma intanto provoca disastri finanziari (in tre sedute di Borsa Elon ha perso 30 miliardi di dollari).
Soprattutto l’ira di Musk per la guerra dei dazi con la Cina, suo partner essenziale (la maggior parte delle Tesla vendute nel mondo vengono dallo stabilimento di Shanghai).
E per l’accusa di aver tentato di ottenere dal Pentagono informazioni top secret su un eventuale conflitto con Pechino. Su questo Trump non lo ha attaccato, ma nemmeno difeso. E lui ha reagito con un meme: un grosso top secret scritto su un foglio durante una riunione di governo, sotto gli occhi dei giornalisti.
(da Corriere della Sera)
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