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L’INFLAZIONE HA PENALIZZATO SOPRATTUTTO I CETI BASSI, COSTRETTI A RIDURRE LA SPESA DELL’8,8% E A ERODERE I LORO RISPARMI

IL RAPPORTO DELL’ISTAT: IL PIL REALE ITALIANO È TORNATO AI LIVELLI DEL 2007 SOLO A FINE 2023. IN 15 ANNI SI È ACCUMULATO UN DIVARIO DI CRESCITA DI OLTRE 10 PUNTI CON LA SPAGNA, 14 CON LA FRANCIA E 17 CON LA GERMANIA… IN 20 ANNI CI SONO TRE MILIONI DI GIOVANI IN MENO NEL NOSTRO PAESE, : IL 45,7% DEI LAUREATI FA UN LAVORO MOLTO AL DI SOTTO DEL SUO TITOLO DI STUDIO

Tra il 2014 e il 2023, la spesa equivalente delle famiglie è cresciuta in termini nominali del 14% ma se si depura dalla crescita dei prezzi è diminuita del 5,8%. Lo rileva l’Istat nel suo Rapporto annuale sottolineando che l’impoverimento è stato generalizzato ma, che “il calo è stato più forte per le famiglie dei ceti bassi e medio-bassi, appartenenti al primo e al secondo quinto della distribuzione” con una riduzione rispettivamente del volume degli acquisti dell’8,8% e dell’8,1%.
Le famiglie del ceto medio e medio-alto, appartenenti al terzo e quarto quinto, hanno diminuito le loro spese reali in maniera più significativa rispetto alla media nazionale (-6,3% il terzo e -7,3% il quarto) mentre le famiglie più abbienti, appartenenti all’ultimo quinto, hanno contenuto le proprie perdite con un -3,2%.
Le distanze in termini reali tra famiglie più e meno abbienti, appartenenti ai due quinti estremi, spiega l’Istat, si sono ampliate in particolare nell’ultimo triennio; con la ripresa inflazionistica, le famiglie con minori capacità di spesa hanno dovuto infatti scontare un aumento dei prezzi più forte rispetto a quelle più benestanti.
Ciò è avvenuto in particolare nel corso del 2022, quando l’inflazione è stata molto alta e trainata da energetici e alimentari, beni essenziali che pesano in misura maggiore sulla spesa delle famiglie con maggiori vincoli di bilancio. Rispetto al 2020, le famiglie più povere hanno avuto a fine 2023 un’inflazione specifica del 22,2%, rispetto al 15,1% delle famiglie più benestanti (+17,4% la media complessiva).
Il Pil reale (quello in volume) in Italia, solo a fine 2023 è tornato ai livelli del 2007: in 15 anni si è accumulato un divario di crescita di oltre 10 punti con la Spagna, 14 con la Francia e 17 con la Germania. Lo si legge nel Rapporto annuale dell’Istat. Rispetto al 2000, il divario è di oltre 20 punti con Francia e Germania, e di oltre 30 con la Spagna.
Se si guarda al Pil nominale tra il 2019 e il 2023 l’Italia è l’economia cresciuta a un ritmo più elevato tra le quattro maggiori Ue con un +4,2% a fine 2023 sull’ultimo trimestre del 2019 (+2,9% in Spagna, +1,9% in Francia e + 0,1% in Germania).
Nel 2023 in Italia, segnala l’Istat, il Pil è aumentato dello 0,9% a fronte dello. 0,7% in Francia e del 2,5% in Spagna, mentre la Germania ha registrato un calo (-0,3%). Secondo le stime preliminari, nel primo trimestre del 2024, la crescita congiunturale dell’economia è stata dello 0,7% in Spagna, lo 0,3% in Italia e lo 0,2% sia in Francia sia in Germania.
Al netto degli effetti di calendario, sottolinea l’Istat, la crescita acquisita per il 2024 sarebbe dell’1,6% in Spagna, dello 0,5% in Francia e Italia mentre la Germania dovrebbe registrare un -0,2%. L’Istat sottolinea che “la stagnazione della produttività del lavoro è uno degli elementi che ha caratterizzato il debole andamento del Pil in volume negli ultimi vent’anni e il conseguente allargamento del divario di crescita con le altre principali economie dell’Ue. In volume, il Pil per ora lavorata in Italia è cresciuto di solo l’1,3% tra 2007 e 2023, contro il 3,6% in Francia, il 10,5% in Germania e il 15,2% in Spagna”.
Nel sistema delle imprese, in Italia, il livello della produttività (valore aggiunto per addetto) a prezzi correnti nella manifattura è inferiore a quello osservato in Francia e Germania solo nel segmento delle micro e piccole imprese, che però hanno un peso maggiore nel nostro Paese. Nei servizi, invece, le imprese italiane mostrano una produttività inferiore in tutte le classi dimensionali.
Uno degli elementi che concorre a spiegare la bassa crescita delle produttività, spiega l’Istat, può essere rintracciato nella dinamica degli investimenti. Questa è rimasta a lungo depressa, recuperando però decisamente nell’ultimo triennio, anche nei confronti delle altre maggiori economie europee. La debolezza degli investimenti tocca in particolare quelli in beni immateriali e nelle attrezzature ICT, le componenti che più incidono sull’ammodernamento dello stock di capitale. In questo caso l’Italia mostra un livello sul Pil ancora inferiore rispetto alle altre grandi economie Ue, nonostante la crescita registrata nel periodo più recente.
Gli attuali giovani hanno transizioni sempre più protratte verso l’età adulta. Nel 2022, il 67,4% dei 18-34enni vive in famiglia con quasi otto punti in più rispetto al 2002 (59,7%). Lo si legge nel rapporto annuale dell’Istat che sottolinea come i valori siano intorno al 75% in Campania e Puglia. Si posticipano anche la nuzialità e la procreazione. Nel 2022, l’età media al (primo) matrimonio è di 36,5 anni per lo sposo (31,7 nel 2002) e 33,6 per la sposa (28,9 nel 2002); quella della prima procreazione per le donne è salita a 31,6 anni, contro 29,7 nel 2002.
Oltre tre milioni di giovani in meno in 20 anni: l’Italia registra nel 2023 appena 10,33 milioni di persone tra i 18 e i 34 anni con un calo del 22,9% rispetto al 2022 quando erano 13,39 milioni. Lo segnala l’Istat nel suo Rapporto annuale presentato oggi secondo il quale rispetto al picco del 1994, quando rientravano nella fascia i ragazzi del baby boom, il calo è di quasi cinque milioni (-32,3%). Negli ultimi 30 anni c’è stato un incremento speculare delle persone di 65 anni e più cresciute da poco più di 9 milioni nel 1994 a oltre 14 milioni nel 2023 (+54,4%)
Tra il 2019 e il 2023, il reddito disponibile delle famiglie a prezzi correnti è cresciuto del 13,5%. A prezzi costanti è, invece, diminuito dell’1,0% rispetto al 2019. Il mantenimento del volume dei consumi nonostante la riduzione del potere d’acquisto ha comportato una riduzione della propensione al risparmio fino al 6,3% del 2023, contro l’8,1% del 2019 e il picco raggiunto nel 2020 nel primo anno della pandemia. Lo rileva l’Istat nel suo Rapporto annuale presentato oggi.
Il tasso di occupazione della popolazione tra i 15 e i 64 anni in Italia nel 2023 ha raggiunto il 61,5% guadagnando 2,4 punti percentuali rispetto al 2019 sia per gli uomini (al 70,4%) sia per le donne (al 52,5%) ma il divario di genere resta ampio con 17,9 punti.
Lo si legge nel Rapporto annuale dell’Istat presentato oggi che sottolinea come ci sia un notevole ritardo in termini di partecipazione al mercato del lavoro rispetto agli altri Paesi Ue. Nel 2023, il tasso di inattività della popolazione di 15-64 anni (33,3%) resta il più alto della media dei Paesi dell’Ue27 (25,0%) con un divario che per le donne è di circa 13 punti percentuali.
“Il divario nei tassi di occupazione dell’Italia rispetto alla media Ue27 – si legge – può essere integralmente ricondotto alla debolezza del mercato del lavoro delle regioni del Mezzogiorno (nel 2023 il 48,2% di occupati rispetto al 70,4% della media Ue27) e della componente femminile dell’occupazione (il 52,5% a fronte del valore 65,8%).
La quota dei occupati part-time (17,6 % del totale) è in linea con la media Ue27, superiore a quella di Francia e Spagna (rispettivamente 16,6% e 13,2%) e molto inferiore a quella della Germania (28,8%). Nel 2023 oltre la metà dei lavoratori a tempo parziale nella classe 15-64 anni (il 54,8%) vorrebbe lavorare di più; l’incidenza raggiunge quasi il 70% tra gli uomini e a quasi 9 su 10 per quelli residenti nel Mezzogiorno.
Negli ultimi 20 anni è crollata la partecipazione politica e l’impegno degli adulti nel volontariato. Lo segnala l’Istat nel suo Rapporto annuale, “Nel 2023 – si legge – è pari al 37,6% la quota di persone di 25-64 anni che fanno attività di partecipazione politica. Rispetto al 2003 si è osservata una riduzione significativa sia della partecipazione politica (era il 52,7%) sia di quella in attività di volontariato (8,5% nel 2023 contro 9,6% nel 2003)”.
Negli ultimi 20 anni, tra la popolazione adulta si è osservato un aumento della partecipazione culturale fuori casa (dal 35,9% del 2003 al 38,3 per cento del 2023), mentre diminuisce la quota di adulti che legge almeno un libro l’anno (dal 44% del 2003 al 40,9% del 2023).
Nel 2023, tra gli occupati laureati circa 2 milioni di persone (il 34% del totale) risultano occupate con un inquadramento professionale che non richiede necessariamente il titolo d’istruzione conseguito e, in tal senso, sono considerate sovra-istruite. Lo sottolinea l’Istat nel suo Rapporto annuale presentato oggi.
L’incidenza, spiega, raggiunge il 45,7% tra i laureati in discipline socio-economiche e giuridiche e scende al 27,6% tra i laureati in discipline STEM. Tra il 2019 e il 2023 la quota dei sovra-istruiti è cresciuta di 1,1 punti percentuali.
Meno fumo e più sport ma in crescita l’eccesso di peso: negli ultimi 20 anni cambia l’attenzione degli italiani verso i comportamenti salutari ma resta sostanzialmente stabile la quota di coloro che si dichiara in buona salute con oltre 7 italiani su 10. E’ quanto emerge dal Rapporto annuale Istat secondo il quale resta stabile il consumo di alcol anche se cambiano le modalità di consumo con meno utilizzo giornaliero e più occasionale. Si riduce la partecipazione all’attività politica e a quella di volontariato.
Nel 2023, l’indicatore di eccesso di peso tra gli adulti è in peggioramento rispetto a venti anni prima (dal 42% del 2003 al 45,2% del 2023) e con valori che si confermano nettamente più elevati tra gli uomini (55,5% contro 34,9% delle donne nel 2023).
Tra il 2003 e il 2023 è stabile il consumo di alcol nell’anno (poco più di 7 adulti su 10), ma si è dimezzato il consumo giornaliero ed è quasi raddoppiato quello occasionale e fuori pasto, che è cresciuto di più tra le donne, riducendo la differenza di genere. Si è ridotto, invece, il consumo abituale eccedentario, mentre è cresciuta l’abitudine a ubriacarsi, specialmente nella fascia 35-44 anni (dal 7,9% del 2003 al 12,4% del 2023).
Tra il 2003 e il 2023 diminuisce l’abitudine al fumo della popolazione adulta (dal 29,1% al 23,7%). Nel tempo, la distanza uomo-donna si riduce per effetto di una flessione meno marcata dell’abitudine al fumo tra le donne: dal 22,3 % al 19,3%, mentre per gli uomini si passa dal 36,0% al 28,1%. Negli ultimi 20 anni cala la quota di adulti che non praticano né sport né attività fisica (dal 39,5% al 31,5%).
E’ aumentata la pratica sportiva (dal 29,4% al 37,8%), specialmente di tipo continuativo. Nel 2023 la famiglia soddisfa circa 9 adulti su 10, seguita dagli amici (poco più di 8 su 10) e dalla salute (circa 8 adulti su 10). La soddisfazione per la situazione economica e per il tempo libero sono le aree con livelli di soddisfazione più bassi (quasi 6 persone su 10), ma per il tempo libero nel tempo si osserva il miglioramento più marcato.
(da agenzie)

This entry was posted on mercoledì, Maggio 15th, 2024 at 16:50 and is filed under Politica. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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