L’ITALIA A TRAZIONE MELONI NON CONTA UN CAZZO A LIVELLO INTERNAZIONALE. L’ENNESIMA DIMOSTRAZIONE SI È AVUTA CON L’ESCLUSIONE DEL NOSTRO PAESE DAL TAVOLO SUL FUTURO DELL’AFGHANISTAN
AGLI OCCHI DEGLI OSSERVATORI INTERNAZIONALI, POCO CONTANO LE PROMESSE E I VIDEO IN PIANO SEQUENZA: SERVONO FATTI, COME LA DECISIONE DI USCIRE DALLA “VIA DELLA SETA”
La decisione dell’Onu di escludere l’Italia dal tavolo sul futuro dell’Afghanistan, nonostante i nostri vent’anni di missione militare, con 53 morti e oltre 700 feriti, dimostra che l’Italia a trazione Meloni non si è ancora guadagnata un posto di rilievo nell’agone internazionale.
Quel che forse non sarebbe avvenuto con Mario Draghi a Palazzo Chigi avviene con Donna Giorgia in sella, visto che la premier, nonostante tutti gli sforzi di restyling della sua immagine all’estero, è ancora marchiata come ex missina, e quindi erede politica del fascismo.
Che questa sia più un’arma di propaganda della sinistra che la realtà, conta poco agli occhi degli osservatori internazionali, non così interessati a comprendere fino in fondo le complesse dinamiche italiane.
A dare un’immagine del governo all’estero è il circuito dei grandi media internazionali, come il “New York Times”, che ha dato spazio alle cazzate sparate dal presidente del Senato, Ignazio La Russa, su via Rasella (“È stata una pagina tutt’altro che nobile della resistenza, quelli uccisi furono una banda musicale di semi-pensionati e non nazisti delle SS”). A conferma che le gaffe, gli scivoloni, i nostalgismi e le improvvisazioni politiche, in Italia finiscono in barzelletta, ma all’estero hanno un peso.
La considerazione e il prestigio personale non sono certo l’unica preoccupazione per Giorgia Meloni: bisogna affrontare le pesanti pressioni internazionali sulle grandi questioni politiche. Diventa più facile comprendere come lo stress a Palazzo Chigi abbia raggiunto livelli di guardia.
A Washington, ad esempio, sono molto interessati a ciò che l’Italia deciderà di fare sull’accordo, siglato nel 2019 dal governo Conte con la Cina, sulla Belt and road initiative, meglio conosciuta come “Via della Seta”.
Gli americani vorrebbero che l’Italia si sfilasse ben prima di dicembre, termine ultimo entro il quale è necessario dare una risposta a Pechino.
Per la Ducetta non sarà facile decidere, perché uscire dalla “Via della Seta” potrebbe sì accontentare la Casa Bianca, ma avrebbe forti ripercussioni economiche e commerciali sull’Italia.
D’altronde, gli Stati Uniti non sono così attenti alle esigenze e ai problemi del nostro Paese: ai loro occhi siamo la solita colonia confusionaria e incomprensibile.
La scelta del nuovo ambasciatore a Roma, Jack Markell, conferma la limitata attenzione alle faccende del nostro Paese: il diplomatico, spedito sotto il Cupolone, sarà pure molto vicino a Joe Biden, ma poco o nulla sa dell’Italia e della sua arzigogolata politica. E infatti, a sbrigare le faccende delicate, continuerà a esserci l’incaricato d’affari, Shawn Crowley.
Insomma, nonostante la nuova campagna di comunicazione e i video promozionali in piano sequenza, l’immagine oltre frontiera di Giorgia Meloni è ancora tutta da costruire, e nessuno sembra farle troppi sconti o accordarle fiducia sulla parola.
Il cul de sac in cui si trova la premier sta tutto nella molteplicità di interlocutori di cui deve conquistare la fiducia: ci sono gli Usa che chiedono fedeltà atlantica e netta opposizione a Cina e Russia; c’è l’Unione europea, che già dubita delle capacità italiane di rispettare le regole di bilancio e di “messa a terra” del Pnrr, e sotto sotto sogna di tornare a fare affari con Mosca e Pechino; ci sono i suoi amici polacchi e gli indispensabili alleati franco-tedeschi, i cui obiettivi spesso confliggono.
Accontentare uno significa scontentare gli altri, e fare gli interessi dell’Italia, in questo scenario, è operazione da funamboli.
(da Dagoreport)
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