LITIGO ERGO SUM, I POLITICI CERCANO PUBBLICITA’
TUTTI CONTRO TUTTI, DESTRA E SINISTRA, IMPRENDITORI E SOTTOSEGRETARI: COSA NON SI FA PER APPARIRE
“Litigo, quindi sono. O quantomeno appaio”.
à‰ l’ultima frontiera della politica italiana. Si litiga, si polemizza, ci si scontra. Possibilmente su temi effimeri. Meglio ancora se appartenenti alla stessa fazione politica.
I casi sono continui. Matteo Renzi, due giorni fa, è riuscito a beccarsi gli strali di D’Alema (gli ennesimi) e di Marchionne (con cui fino al giorno prima flirtava). All’elevata discussione si è poi aggiunto Bersani, personaggio perennemente in cerca d’autore.
L’affaire Renzi, peraltro, dimostra come spesso l’attacco altrui costituisca la campagna elettorale più efficace: quando rimani antipatico, in un colpo solo, a D’Alema e Marchionne, qualche pregio (anche involontario) devi averlo per forza.
Il litigio è trasversale.
Alligna come sempre a sinistra, o presunta tale.
La faida, assai avvincente, può scoppiare tra un Fassina che intende rottamare Monti e un Letta (Enrico) che per questo trasecola.
Lo stesso Letta che, tra un tweet e l’altro, rimprovera Vendola — in via teorica suo alleato — perchè troppo felice della vittoria di Chavez.
La litigata riguarda però anche i tecnici, pronti a scannarsi più o meno sobriamente su temi appassionanti.
Magari l’Irpef (Monti versus Polillo). La lotta nel medesimo pollaio è quantomai di moda anche in quel che resta del centrodestra. Alfano, leader senza quid, lascia intendere che Berlusconi farà un passo indietro; Daniela Santanchè lo smentisce, sostenendo più o meno che Angelino conti quanto il due di picche (se briscola è quadri ); Cicchitto lamenta l’agonia del Pdl (se n’è accorto pure lui); e Stracquadanio parla — perchè se ne intende — di partito-zombie.
Scontro autentico tra titani.
La Nuova Era del Litigio contagia pure la Lega, tra cerchi magici e pre-ultimatum: chi con Maroni, chi con Bossi, chi con nessuno. Non troppo dissimile la risacca dell’Italia dei Valori: chi con Di Pietro, chi con Donadi, chi con De Magistris (e chi con Maruccio, ennesimo Scilipoti interno).
Perfino il Movimento 5 Stelle non è esente dalla deriva rissosa, scisso (non tanto ma un po’ sì) tra fedelissimi di Grillo-Casaleggio e presunti ribelli in Favia style.
Se il litigio muta modalità e dialettiche in base al luogo dello scontro (apparentemente garbato nel centrosinistra, puntualmente cafone tra i berluscones), sono riscontrabili alcuni punti fermi. In primo luogo, mai come adesso il litigio coincide con il dissenso interno.
Ci si sportella (si direbbe con discreto gaudio) con chi teoricamente è tuo alleato, molto più che con chi dovresti combattere. In secondo luogo, il litigio sostituisce il vuoto idelogico.
Si litiga per sollevare polveroni.
Sperando che i toni beceri mascherino la penuria culturale del politico medio.
C’è però un terzo aspetto: il litigio è la scorciatoia più comoda per ricordare agli altri, e a se stessi, di esistere.
Lo scontro garantisce quasi sempre attenzione. Titoli di giornale. E ospitate in tivù. Più si abbassano stile e livello (e in questo i politici italiani non hanno rivali), più si evita l’oblio: l’unica cosa che terrorizza i nuovi statisti.
Il litigio, oltretutto, è altamente democratico: non fa distinzioni di fama.
Aiuta grandi e piccini. Soprattutto i piccini.
Più il pesce sarà marginale, più le acque mosse ne agevoleranno la scia.
Emblematici i recenti exploit della pidiellina Michaela Biancofiore.
Berlusconiana estatica, negli ultimi giorni recita (a memoria e maluccio) la parte della fedelissima.
Dalla Gruber su La7, in Rai: persino nel pianerottolo di casa, si presume.
Caricaturale senza accorgersene, è una sorta di nuova Bondi, appena più graziosa ma molto meno credibile.
Non appena si imbatte in una finiana (Perina) o comunque in un infedele, si erge a pasionaria. Butta là qualche perla. Descrive scenari tragicomici.
Poi, il giorno dopo, legge i giornali. Sognando che qualcuno abbia parlato di lei.
Bene o male non importa: l’importante è apparire. Rigorosamente vaghi. Possibilmente rissosi.
Litigo ergo sum.
Andrea Scanzi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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