LO PSICHIATRA CREPET: “I GIOVANI UCCIDONO LE FIDANZATE PERCHE’ NELLA VITA NON HANNO MAI RICEVUTO UN SOLO NO”
“LA RESPONSABILITA’ STA NELL’INCAPACITA DELLA FAMIGLIA DI PUNIRLI E LA TOTALE ASSENZA DI EMPATIA TRA GENITORI E FIGLI DISTRUTTA DAI TELEFONINI”
Professor Crepet, che cosa scatta nella mente di un 22enne come Filippo Turetta che passava per un bravo ragazzo e all’improvviso uccide la fidanzata?
«È sicuramente uno dei tanti giovani incapaci di elaborare un semplice no. Questa è la generazione di chi non ha mai ricevuto una semplice punizione, del tipo “tu sabato non esci”, una frase semplice, che in realtà è oro colato. Incapaci di elaborare un rifiuto non appena lo incontrano sono incapaci di accettarlo».
Quindi un femminicidio compiuto da un cinquantenne è profondamente diverso da quello di cui si macchia un giovane
«Certamente. Il primo è figlio di una cultura medioevale, del cieco patriarcato. Il secondo riguarda molto spesso un figlio “mammone” che nella vita è stato troppo protetto, e ricerca nella fidanzata la stessa impossibile simbiosi che ha avuto con la madre».
Ma perché oggi pare che il femminicidio sia una pratica più diffusa rispetto anche solo a 30 anni fa?
«Perché nella storia le donne hanno sopportato anche l’insopportabile, e, soprattutto, non si ribellavano, quindi non c’era bisogno di ucciderle. Oggi le donne se ne vanno, si laureano prima, pensano giustamente in sacrosanta autonomia, smontando le certezze ataviche del maschio. Si ribellano a meccanismi visti in famiglia a cui la madre non si è mai opposta continuando a dormire accanto a un uomo che ha trasformato la sua vita in un inferno».
Si parla di specifici campanelli d’allarme. Quali sono?
«Non mi piace l’espressione. La premessa è un rapporto basato su rituali ossessioni di controllo e ricatti affettivi. Poi ci sono alcune frasi, pronunciate dalla “vittima” di questo stalking affettivo che possono sul serio scatenare il peggio».
Quali?
«Per esempio “se continui così lo dico a qualcuno” e, se sono molto giovani, “lo dico ai tuoi”. Questi sono aut aut in grado di destabilizzare».
Lei ha detto che la violenza giovanile ora coinvolge anche le donne. È vero?
«Sì, basti pensare alle baby-bulle che picchiano le compagne di classe o all’ultimo caso della ventunenne che ha sfregiato la nuova fidanzata del suo ex a colpi di taglierino. Maschi e femmine sono figli di un unico disastro educativo. Da un lato la totale assenza di no, dall’altro una madre che non è in grado di dire alla propria figlia “non commettere mai gli errori che ho fatto io con tuo padre”. Poi come acceleratore di tutte queste dinamiche possiamo metterci anche il telefonino».
I social?
«No, proprio la distrazione che il telefono comporta. Scena numero uno: a tavola mia madre chiede una cosa a mio padre che non le risponde perché sta commentando con l’amico l’ultima performance di Sinner. Scena numero 2: la fidanzata esce con le amiche per una pizza, lui nn si accontenta di chiedere dov’è, ma esige una foto, poi un’altra ancora… Da un lato l’assoluta indifferenza, dall’altro la mania ossessiva del controllo».
Riassumendo. Di chi è figlia tanta violenza in età giovanile, tanto disagio e tanta incapacità di elaborare le sconfitte a partire da quelle sentimentali?
«Dalla totale mancanza di empatia in famiglia. Quell’ascolto, quella vicinanza, si è persa chissà dove. E da lì parte il disastro».
(da agenzie)
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