LO STORICO GIANNI OLIVA: “PRESIDENTE MELONI, SUL MANIFESTO DI VENTOTENE, IN COSA NON SI RICONOSCE?”
PERCHE’ QUESTA NON E’ LA SUA EUROPA, PRESIDENTE?
Il “Manifesto di Ventotene”, che la presidente Meloni ha citato oggi alla Camera affermando che “non è quella la mia Europa”, è un documento per la promozione dell’unità politica europea, scritto nel 1941 da tre intellettuali antifascisti confinati a Ventotene, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni.
Il documento non era elaborazione individuale, ma frutto delle discussioni tra i confinati nell’isola (circa 800 persone, di cui 500 schedate come comunisti, 200 come anarchici e i restanti come azionisti o socialisti). Originariamente diffuso
clandestinamente, il Manifesto venne organizzato nel 1944 in tre capitoli da Eugenio Colorni, filosofo socialista di religione ebraica, riuscito a fuggire dal confino, assassinato a Roma il 30 maggio 1944 dai militi fascisti della banda Koch: la prima parte riguardava la “crisi della società moderna”, la seconda i “compiti del dopoguerra e l’unità europea”, la terza “la forma della società”.
Non soffermiamoci sulle declinazioni pratiche (un documento elaborato oltre 80 anni fa, nell’infuriare della guerra, è evidentemente datato nelle proposte operative), ma limitiamoci ai principi ispiratori, che in quanto tali conservano carattere di universalità.
La tesi principale è quella secondo cui l’esistenza stessa dello stato nazionale costituisce una minaccia permanente per la pace internazionale, perché il fine dello stato è l’espansione e lo strumento più efficace per ottenerla è la guerra.
La fondazione del federalismo europeo diventava quindi l’obiettivo fondamentale del dopoguerra: trasferimento progressivo e graduale della sovranità ad un organismo federale sovranazionale, all’interno di una struttura di negoziato permanente.
E’ in questo, Presidente, che Lei non si riconosce? Nell’idea di una cessione di sovranità nazionale in vista di una realtà allargata di tipo federale? Lei pensa che in un mondo globalizzato l’Italia sia sufficientemente attrezzata per reggere da sola il confronto con gli Stati Uniti, o con la Cina, o con le tante altre economie più forti della nostra?
Nella prospettiva tracciata dal Manifesto c’è sicuramente un elemento che penalizza la sua politica: Lei è abituata a decidere liberamente grazie ad una coalizione acquiescente e ad un’opposizione frammentata e impalpabile; in un’Europa federale Lei dovrebbe misurarsi con altre posizioni e trovare un “compromesso” nel senso più nobile del termine (“promettere insieme”, cioè partire dalle rispettive posizioni non per ridimensionarne l’una o l’altra, ma per raggiungere una sintesi che le comprenda entrambe).
La dimensione federale è esercizio per eccellenza di democrazia partecipata: è forse questo il problema? Il limite intrinseco al decisionismo?
L’altro principio fondante del Manifesto di Ventotene è la rigenerazione della società garantita da una prospettiva europea: un’Europa che riscopra i valori che avevano ispirato la Società delle Nazioni, che guardi all’emancipazione dei popoli, all’affermazione della libertà, alla tutela dei diritti, alla ridistribuzione della ricchezza, alla difesa della pace.
Certamente, questi non sono principi compatibili con la politica della forza militare e diplomatica di Trump, o quelli della forza del denaro e della proprietà di Musk. Sono i principi che guardano ad una dimensione collettiva della società, che immaginano la compagine civile come una realtà dove ognuno corre con velocità diverse secondo le proprie attitudini, ma dove tra i “primi” e gli “ultimi” c’è una distanza compatibile di
cui la dimensione pubblica si fa garante.
E’ questo che non condivide del Manifesto di Ventotene, Presidente? Lei vuole invece l’affermazione dell’individuo singolo capace di emergere sulla massa (che sia per ricchezza, forza, spregiudicatezza, intuizioni, o quant’altro)? Come i Musk, i Besos, i magnati russi?
Infine, Ventotene guarda all’Europa della solidarietà e intende l’uguaglianza non come un’astrazione sterile, e neppure come un’utopia impraticabile, ma, in concreto, come lo sforzo per rimuovere gli ostacoli che impediscono alle donne e agli uomini di esprimere la propria personalità e di avere la propria dignità.
E’ forse questo che non le piace, Presidente? La parola “solidarietà” è troppo stridente con le espulsioni di Trump, con i centri d’accoglienza fantasma dell’Albania, con i rimpatrii facili?
Non ho capito la sua affermazione, Presidente. Da che cosa è nata? Da fede sovranista? Da tentazione trumpista? O da insofferenza per “questa” Europa? Perché, in sincerità, neanche a me piace questa Europa dei burocrati, delle prescrizioni e dei veti, ma per motivi opposti ai suoi. Non mi piace proprio perché è troppo diversa e lontana dall’Europa di Ventotene.
Gianni Oliva
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