LUCA CASARINI: “IL PAPA CI HA DIFESI, SARA’ SEMPRE A BORDO”
LE BARZELLETTE, LE PREGHIERE, I MIGRANTI: “PER ME E’ STATO UN PADRE, ADESSO TOCCA NOI CONTINUARE LA SUA RIVOLUZIONE”
“Probabilmente nel 2001, ai tempi del G8 e dei centri sociali, non avrei mai immaginato di diventare amico di un Papa. Ma se c’è una cosa che mi hanno insegnato questi anni con Francesco è che la vita può sempre aprirsi all’inaspettato”. Per anni identificato come figura di riferimento dei centri sociali del Nord Est e delle tute bianche, presenza fissa in piazza negli anni in cui i movimenti le riempivano gridando “un altro mondo è possibile”, dal 2019 Luca Casarini ha più volte incontrato Bergoglio.
Complice un percorso personale di fede e la decisione di Mediterranea Saving Humans, l’ong di cui è cofondatore, di imbarcare don Mattia Ferrari sulla Mare Jonio come cappellano, il Vaticano di Francesco è diventato un punto di riferimento anche per quello che i media per anni hanno identificato come “il cattivo ragazzo dei centri sociali”.
“Con don Mattia abbiamo messo insieme un dossier con tutti gli articoli che sono usciti negli anni sui problemi, le polemiche, i processi, per metterlo al corrente. E lui ha risposto con un messaggio. «Grazie, so già tutto». Francesco era così, non aveva paura dei movimenti popolari, delle persone scomode, si ricordava perfettamente dei nomi e delle storie di tutti gli attivisti che ha incontrato”.
Quando avete inviato quel dossier?
“Dopo il primo incontro con l’equipaggio di Mare Jonio nel 2019. Io ero lì, nel salone di Santa Marta, lui è uscito da una porta e mi ha abbracciato come se mi conoscesse. «Ciao, come stai?», mi ha detto. Mi ha veramente stupito”.
Da allora, ce ne sono stati altri?
“Molti altri. Sia insieme a don Mattia, sia da solo nel periodo del Sinodo. Erano momenti in cui discutevamo di cose diverse, dalle scritture alla situazione nel Mediterraneo. Erano incontri di lavoro, di preghiera, di risate”.
Risate?
“Francesco predicava il buon umore militante. Diceva che dobbiamo saper ridere, anche di noi stessi, e far ridere. Che il cristianesimo non potrà mai convincere nessuno se è triste. Faceva battute, raccontava barzellette. È capitato di vederlo dopo incontri che aveva avuto con personaggi che sapeva non affini e
lui raccontava: «Gli ho detto di pregare per me, non contro di me, per me». E giù risate”.
Francesco l’ha voluta come suo invitato speciale al Sinodo. Se lo aspettava?
“Assolutamente no. L’ho saputo quando hanno iniziato a chiamarmi i giornalisti. È una cosa di cui gli sarò eternamente grato”.
Il Sinodo italiano ha rinviato l’approvazione del documento finale perché la bozza non conteneva tutte le aperture emerse durante i lavori. Adesso quello slancio si potrebbe interrompere?
“Sinceramente non credo. La discussione è stata rinviata a ottobre. Questo pontificato ha avviato un percorso nella Chiesa che difficilmente si potrà arrestare perché Francesco ha seminato, diceva «meglio un ateo, che chi va a messa tutte le domeniche ma è divorato dall’odio». È un ritorno alle radici della cristianità che non si perde”.
Come vi tenevate in contatto?
“Avevamo anche un rapporto epistolare. Una delle lettere più note è quella che lui ha voluto che fosse resa pubblica. Gliela scrissi durante il Covid, dopo il naufragio diventato noto come la strage di Pasqua. Mi sentivo perso perché in mare si continua a morire. Rispose «Fratello io sono con te». Tante volte ha inviato messaggi a Mediterranea, ha parlato di noi durante l’Angelus”.
Per telefono non vi siete mai sentiti?
“No. E per fortuna, altrimenti sarebbe stato spiato anche lui da chi ha infettato i nostri telefoni con Graphite di Paragon”
Come nasce il rapporto di papa Francesco con Mediterranea?
“Sicuramente molto si deve a don Mattia. Era già un giovanissimo prete di strada, abituato a stare fra gli ultimi, quando abbiamo sentito l’esigenza di portarlo a bordo. Mediterranea non è un’associazione cristiana, dentro ci sono
laici, atei, buddisti, persone di tutte le confessioni, ma porta un messaggio alle “persone di buona volontà”. Ci siamo trovati a collaborare con persone idealmente lontanissime dai nostri mondi, ma che in realtà non lo sono, come gli scout”.
La barca della fondazione Migrantes che vi ha affiancato in missione è parte di questo percorso?
“Certamente. Quante volte Francesco ci ha invitato, ci ha protetto, si è fatto fotografare con noi quando venivamo attaccati”.
Temete che questo filo si spezzi?
“Personalmente credo di no. Parlo da cristiano: dobbiamo smettere di pensare che siamo padroni di tutto, c’è qualcosa di più grande che muove la speranza. Ma dobbiamo continuare nel mettere in pratica il suo messaggio, lottare contro la guerra e le ingiustizie. Credo fermamente che Francesco continuerà a camminare con noi in questo processo di trasformazione del mondo che si è innescato. Sarà una strada difficile, in salita, ma dobbiamo continuare perché in mare, nei lager, nei cpr, in Albania, ci sono fratelli e sorelle. E se mai dovessimo essere arrestate per questo, pazienza”.
Chi era per lei il Pontefice?
“Lui, come don Gallo, che portavo dentro di me a ogni incontro, sono stati due fratelli più grandi, due padri che mi hanno preso per mano”.
E adesso che anche papa Francesco non c’è più?
“Quando ho saputo della sua morte ho provato un grande senso di vuoto, di solitudine, mi sono sentito orfano. Poi mi è tornata in mente la sua voce che diceva «non dovete piangere, la morte non è la fine» ed è subentrato un gigantesco senso di gratitudine. Sono sentimenti che hanno bisogno di un progetto. Adesso tocca a noi prendere in mano quello che Francesco ha lasciato
metterlo in pratica e andare avanti. Non vedo l’ora di portarlo con me in un’altra missione. Lui fa parte della crew. Gli abbiamo regalato anche un giubbotto tutto bianco”.
(da agenzie)
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