LUNEDÌ DIMISSIONI VERE, RENZI HA SCRITTO LA LETTERA
ORFINI HA LA MISSIVA, SARA’ PORTATA IN DIREZIONE PD LUNEDI’… MARTINA SARA’ IL TRAGHETTATORE FINO ALL’ASSEMBLEA DI APRILE… POI O SI ELEGGE IL NUOVO SEGRETARIO O CONGRESSO CON PRIMARIE
Il dado ormai è tratto. Senza se e senza ma, senza finte e senza indugi.
Lunedì la direzione del Pd prenderà atto delle dimissioni di Matteo Renzi da segretario e aprirà il percorso verso l’assemblea nazionale straordinaria di aprile, tendenzialmente dopo le consultazioni sul governo da parte del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Il passo indietro formale, spiegano dal quartier generale del segretario, è già stato presentato: c’è una lettera scritta lunedì scorso in cui Renzi si dimette, all’indomani della debacle elettorale.
In direzione la leggerà il presidente Matteo Orfini. “Lunedì le mie dimissioni saranno esecutive”, dice Renzi ai suoi.
Non era sembrato così chiaro nella conferenza stampa di lunedì scorso al Nazareno. Tanto che ancora oggi il capogruppo uscente al Senato Luigi Zanda, insieme all’area di maggioranza che si ritrova nelle sue posizioni — a cominciare dal premier Paolo Gentiloni — più le minoranze, chiedevano un passo formale da parte di Renzi.
Ad ogni modo, lunedì ci sarà .
Il pressing ha avuto effetto sul segretario dimissionario, che oggi è rimasto nella sua Firenze, visita a Palazzo Vecchio, la sua antica ‘casa politica’ di quando era sindaco. Ci è andato per un saluto con l’attuale primo cittadino Dario Nardella, un confronto sul da-farsi.
Sarà Maurizio Martina, il vicesegretario, il traghettatore del partito fino all’assemblea di aprile.
Ordine del giorno dell’assemblea: le dimissioni del segretario e provvedimenti conseguenti.
Vale a dire: sarà l’assemblea a decidere se andare a congresso, con la decadenza di tutti gli organi del partito e primarie per la nuova leadership; oppure se eleggere in quella stessa sede un nuovo segretario, come avvenne nel 2009 per Franceschini, dopo Veltroni, e nel 2013 per Epifani, dopo Bersani. In questo caso, cambierebbe solo la segreteria nazionale, ma l’assemblea e la direzione rimarrebbero nella stessa composizione attuale. E anche il tesoriere resterebbe il renziano Francesco Bonifazi.
Troppo presto per sapere come andrà in assemblea.
Prima si gestiranno i passaggi cruciali di inizio legislatura: l’elezione dei capigruppo, cioè coloro che con Martina saliranno al Colle per le consultazioni.
Quindi l’elezione dei presidenti delle due Camere, terreno fertile di abboccamenti tra minoranze Dem e cinquestelle, secondo i renziani che restano sospettosi su tutta la fila di dirigenti Dem che in queste ore sta giurando di voler mantenere il Pd all’opposizione di un eventuale governo del M5s. Da Franceschini a Zanda agli stessi orlandiani.
Ufficialmente solo l’area Emiliano e Sergio Chiamparino hanno aperto al dialogo con i pentastellati. Ettore Rosato, capogruppo uscente alla Camera, parla aperta del tentativo del M5s di dividere il Pd, parlando con i “singoli parlamentari: i cinquestelle dimostrano tutta la loro povertà politica”.
Andrà come andrà , ma da lunedì si chiude una fase e se ne apre un’altra in un Pd uscito con le ossa rotte dal voto.
In queste ore, lo stesso Martina insieme a Lorenzo Guerini e Graziano Delrio hanno lavorato per cercare di salvare il salvabile: calmare i toni ed evitare la conta in direzione.
Lo stesso Andrea Orlando, che oggi ha riunito i suoi alla Camera, ha preparato un documento che chiedeva le dimissioni formali di Renzi e una gestione collegiale ma l’avrebbe portato in direzione qualora non si fosse trovato un accordo.
Un mezzo accordo ora c’è. Renzi va via. Anche se questo non implica lo scioglimento della sua area nel Pd. Resta da capire il peso che avrà tra i nuovi eletti che in gran parte si è scelto da solo e che voteranno i nuovi capigruppo.
Come giurano i suoi, quelli che gli sono rimasti fedeli: “Renzi se ne va, ma questo non significa che non conterà più nulla nel Pd”.
(da “Huffingtonpost”)
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