LUPI AI DIPENDENTI: “NON SI ACCETTANO REGALI OLTRE 150 EURO DI VALORE”
UN ANNO FA IL MINISTRO FIRMO’ IL CODICE ETICO DEL SUO DICASTERO: VIETATO RICEVERE DONI COME UN ROLEX O UN IMPIEGO
La regola che dovrebbe spingerlo a dimettersi subito, il ministro Maurizio Lupi l’ha scritta lui stesso il 9 maggio dell’anno scorso.
E’ il Codice Lupi, un decreto che fissa in maniera chiarissima cosa è tassativamente vietato a tutti i dipendenti del suo ministero, applicando il Codice Etico approvato dal governo Monti. Articolo 4: «Regali, compensi e altre utilità ».
Comma 2: «Il dipendente non accetta, per sè o per altri, regali o altre utilità , salvo quelli d’uso di modico valore», ovvero «non superiore a 150 euro».
Queste sono le regole etiche di cui il ministro pretende l’assoluto rispetto da parte dei dirigenti e dei funzionari che lavorano con lui: mai accettare, «per sè o per altri», regali imbarazzanti come un Rolex o «altre utilità » come l’assunzione di un figlio.
Dunque il ministro sa benissimo come bisogna comportarsi in un ministero, visto che la norma l’ha scritta lui. In realtà , è stato obbligato a farlo.
Il merito è di Mario Monti, che l’8 febbraio 2012, come titolare ad interim del ministero dell’Economia e delle Finanze, inviò una circolare ai suoi dirigenti che finì sui giornali perchè a partire da quel giorno proibiva le spese di rappresentanza, le consulenze e i convegni.
Minore attenzione fu inevitabilmente dedicata alla seconda parte della circolare, quella in cui Monti imponeva il rigoroso rispetto di un codice etico per i regali, vietando di accettare, «per sè o per altri, beni materiali quali regali o denaro, o beni immateriali o servizi e sconti per l’acquisto di tali beni (…) che eccedano il valore di 150 euro».
Poi, per essere ancora più chiaro, il presidente del Consiglio aggiungeva: «I regali e gli omaggi ricevuti (…) in ogni caso devono essere tali da non poter essere interpretati, da un osservatore imparziale, come finalizzati ad acquisire vantaggi in modo improprio»
Ma quel governo non si accontentò di una circolare.
E prima di uscire di scena approvò il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, un regolamento previsto dalla riforma Bassanini del 2001 ma inutilmente atteso da dodici anni.
Alla voce «regali, compensi e altre utilità » il Codice — che porta la firma del ministro Patroni Griffi — ripeteva esattamente il divieto imposto da Monti: «Il dipendente non accetta, per sè o per altri…».
Poi però rinviava a ciascun ministero il compito di emanare un decreto ad hoc, che adattasse quella regola ai meccanismi dei suoi uffici.
Così il 9 maggio dell’anno scorso la pratica è arrivata sul tavolo di Lupi, che ha firmato le norme valide per il suo ministero.
Ma lui che ha scritto il Codice Lupi, invece di dare l’esempio è stato il primo a non rispettarlo. Ha lasciato che un imprenditore al centro di appalti miliardari — capace di dirigere i lavori di 17 opere pubbliche contemporaneamente — regalasse a suo figlio Luca un Rolex Daytona, il più ambito dai collezionisti, un orologio da 10 mila euro.
E non ha battuto ciglio quando lo stesso imprenditore, Stefano Perotti, un anno fa ha fatto assumere il giovane Lupi da suo cognato, spiegando che «il ragazzo deve prendere 2000 euro più Iva mensili ».
Regali e favori che erano evidentemente destinati a ottenere la benevolenza del ministro e che Maurizio Lupi ha accettato: non per sè, ma «per altri», ovvero per suo figlio
Non basta, come fa il ministro, prendere le distanze da quell’imbarazzante dono del Rolex: «L’avesse regalato a me non l’avrei accettato » ha detto al nostro giornale.
Chi ha visto «I tartassati» — il magnifico film di Steno del 1959 — ricorda che a un certo punto il maresciallo della tributaria (Aldo Fabrizi) si accorge che il commerciante evasore (Totò) sta cercando di corromperlo svendendo a sua moglie un abito con l’improbabile sconto del 70 per cento.
«Posalo» ordina il maresciallo alla moglie.
Ecco, il ministro avrebbe dovuto imitare il maresciallo Fabrizi, e fare la stessa cosa: ordinare al figlio di restituire immediatamente quell’orologio.
Ma lui non lo ha fatto, ha accettato che un suo familiare ricevesse un costosissimo regalo. Altrettanto zoppicante è la sua autodifesa sul lavoro che Perotti, tramite il cognato, ha procurato a suo figlio. «Per tutta la vita ho educato i miei figli a non chiedere favori» ha assicurato Lupi. Ha fatto benissimo. Ma avrebbe dovuto aggiungere che non bisogna neanche accettarli, i favori, soprattutto se a farli è un imprenditore che lavora con il ministero di papà . E forse è vero che lui non ha mai chiesto nulla, a quel potente imprenditore a casa del quale andava così spesso a cena. Eppure, come direbbe lui stesso se un dirigente fosse colto a violare il Codice etico in materia di regali, certi doni non basta non chiederli: non bisogna accettarli, nè per sè ne per altri, se «possono essere interpretati, da un osservatore imparziale, come finalizzati ad acquisire vantaggi in modo improprio».
Questa è la vera colpa politica del ministro.
Che oggi non è più moralmente legittimato a chiedere ai suoi sottoposti il rispetto di regole che lui per primo ha infranto.
E’ il Codice Lupi che oggi inguaia il ministro Lupi.
Sebastiano Messina
(da “La Repubblica”)
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