MA L’ELISEO RESTA ANCORA LONTANO
TUTTO COME PREVISTO: IL FRONT NATIONAL ARRIVA AL 29,5% AL PRIMO TURNO DELLE REGIONALI, L’UMP DI SARKOZY AL 27%, I SOCIALISTI AL 23%
Hanno lo stesso ambizioso modello – Giovanna d’Arco – e lo stesso nome: Marion (anche se la zia si fa chiamare Marine). Eppure non potrebbero essere più diverse.
Le due signore Le Pen tra una settimana diventeranno presidenti delle due regioni agli antipodi, il Nord atlantico di Lilla e Calais e il Sud mediterraneo di Marsiglia e Nizza, hanno storie e idee molto distanti. Questa ambiguità è anche il limite che renderà difficilissima, se non impossibile, la conquista dell’Eliseo e del Paese
Marion è conservatrice, ai limiti della reazione. Marine è movimentista, ai limiti della confusione.
Non a caso Marion stasera sarà in testa con circa il 40% nella regione Paca, Provenza-Alpi-Costa azzurra, culla dell’immigrazione maghrebina, da anni feudo della destra per quanto divisa; mentre Marine viaggia su percentuali analoghe nel Nord-Pas de Calais (cui è stata aggregata la Piccardia), terra un tempo rossa di miniere e di industrie, ora desertificata e disperata.
Marine Le Pen rifiuta di definirsi un’estremista. Per lei la divisione non passa più tra la destra e la sinistra, ma tra il sopra e il sotto della società , tra le èlites e il popolo, tra gli enarchi fautori del libero mercato, dell’Europa unita e la Francia profonda, spaventata dalla mondializzazione, dagli emigrati, ora dal terrorismo.
Non a caso il Front è al 45% tra gli operai e nelle banlieues popolari; mentre nel centro di Parigi non arriva al 20.
Accusare Marine e Marion di fascismo è un errore storico.
Il Front National non è figlio della Francia filonazista e clericale di Vichy.
Jean-Marie Le Pen tentava – a 16 anni – di arruolarsi nelle file della Resistenza quando Mitterrand riceveva dalle mani del maresciallo Pètain la francisque , massima onorificenza del regime. Il Front National è figlio dell’Algeria francese e dell’Oas, l’Organisation de l’Armèe Secrète che tentò di assassinare De Gaulle.
È figlio delle sconfitte in Indocina (dove Jean-Marie combattè tra i paracadutisti), del crollo dell’impero coloniale, della frustrazione nazionalista; e i suoi nemici mortali non sono i socialisti ma i gollisti in tutte le loro declinazioni.
Per questo al ballottaggio delle presidenziali 2017 Marine spera di trovare Hollande, contro cui avrebbe qualche chance, anzichè Sarkozy o peggio ancora Juppè, il delfino di Chirac, da cui sarebbe agevolmente battuta.
Dietro il suo successo di oggi non c’è soltanto la richiesta di una stretta sull’immigrazione e di una lotta senza quartiere ai terroristi.
C’è l’angoscia di una nazione abituata all’egemonia, che ora sente di non contare molto più di nulla. E c’è la frustrazione di scoprirsi impotente, dopo i discorsi di Hollande che Marion ha definiti «tonitruanti»: «Il presidente parla di guerra e non ha la forza di farla davvero».
A dispetto della sua trasversalità , Marine rimane un personaggio anti-sistema. Se dopo Lilla conquistasse anche Parigi, sarebbe la fine dell’Europa.
Il suo programma le impone di strappare non solo il trattato di Schengen, che un po’ tutti i francesi considerano superato, ma anche il trattato di Maastricht, che nel ’92 fu approvato da una maggioranza striminzita.
Marine vuole restituire ai compatrioti 200 euro al mese di stipendio, e soprattutto la sovranità . L’indipendenza da Berlino e da Bruxelles. Una gigantesca retromarcia. Il ritiro della Francia dalla storia.
Marine non è una persona sgradevole. Ma tra Marine e l’Eliseo ci sono due ostacoli. Oggi ha votato la metà dei francesi; per la scelta del presidente la partecipazione è molto più alta, e questo annacqua le militanze e le radicalità .
E mentre al secondo turno delle regionali possono partecipare tre o più candidati, e quindi il 40% basta per vincere, al ballottaggio per il capo dello Stato si arriva in due. Pur nel momento del trionfo di Marine, la maggioranza non crede che possa diventare presidente. A
nche se, da quando il terrore le ha dichiarato guerra, la Francia cammina su un sentiero inesplorato.
E per la fine dell’Europa non tifano solo i nazionalisti francesi .
Aldo Cazzullo
(da “il Corriere dela Sera“)
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