MAFIOSI DI MERDA: PER GLI ABITANTI DEL PAESE LA RAGAZZINA VIOLENTATA A 13 ANNI “SE L’E’ ANDATA A CERCARE”
A MELITO PORTO SALVO POCHE PERSONE ALLA FIACCOLATA DI SOLIDARIETA’… IL BRANCO ERA DI NOVE UOMINI TRA CUI IL FIGLIO DEL BOSS DELLA ‘NDRANGHETA
“Se l’è cercata”. “Una che non sa stare al posto suo”. Voci e umori raccolti da La Stampa a Melito Porto Salvo, piccolo paese in provincia di Reggio Calabria, e che si riferiscono a una ragazza di 16 anni che per tre anni ha subito abusi e violenze da parte del branco: nove uomini, tra cui Giovanni Iamonte, figlio del boss della ‘ndrangheta Remigio Iamonte.
Un incubo che è finito con l’arresto dei responsabili, ma che ora deve fare i conti con il giudizio della comunità locale.
Alla fiaccolata organizzata davanti alla stazione c’erano soltanto 400 persone su circa 14mila residenti e molti sono arrivati da altri paesi.
Quando questa tragedia italiana è incominciata, la bambina aveva 13 anni. Ora ne ha compiuti sedici.
Una settimana fa, annunciando l’arresto degli stupratori, il procuratore capo di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho, ha detto: «Questo territorio sconta un ritardo costante. C’è una mancanza di sensibilità . Anche i genitori sono stati omertosi. Tutti sapevano».
Un dramma che sembrava senza via d’uscita
«Hanno violentato la bambina per tre anni di seguito. La prostituzione non c’entra niente. L’hanno violentata in nove, a turno e insieme. Tenendola ferma per i polsi, e poi obbligandola a rifare il letto.«C’era la coperta rosa», ha ricordato la bambina nelle audizioni con la psicologa. «E non avevo più stima in me stessa. Certe volte li lasciavo fare. Se mi opponevo, dicevano che non ero capace. Mi veniva da piangere. Mi sentivo una merda». Andavano a prenderla all’uscita della scuola media Corrado Alvaro, con la lettera V dell’insegna crollata. È sulla via principale, proprio di fronte alla caserma dei carabinieri. Caricavano la bambina in auto e andavano al cimitero vecchio, oppure al belvedere o sotto il ponte della fiumara. Più spesso in una casa sulla montagna a Pentidattilo, dove c’era il letto.
L’incubo è finito, ma la ferita è ancora aperta. Alla fiaccolata c’era anche il padre della ragazza, che ha espresso parole di amarezza
«Purtroppo mi aspettavo questo tipo di partecipazione», dice camminando con un piccolo lumino in mano.
«Tante volte avrei voluto andarmene da questa situazione. Non mi piace usare la parola schifo, perchè a Melito ci sono cresciuto. Ma se potessi, certo, se non avessi il lavoro, prenderei mia figlia e la porterei lontana. Abbiamo cercato solo di difenderci».
(da “Huffingtonpost”)
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