MATTARELLA NON SARA’ COMPLICE DEL DEFAULT NAZIONALE
SULLO SFONDO IL TIMORE CHE IL DEF SIA L’INNESCO DEL PIANO B PER USCIRE DALL’EUROPA
Se non ci saranno, come tutto lascia intendere, segni di resipiscenza su una manovra che già ha allarmato mercati e investitori, di fronte al deflagrare della crisi italiana Sergio Mattarella potrà essere annoverato come colui che il suo dissenso lo ha messo agli atti in tempo utile.
È questo il senso politico del discorso, fortiter in re suaviter in modo, pronunciato dopo il venerdì nero sulle borse alla prima occasione utile, l’incontro con i partecipanti all’iniziativa “Viaggio in bicicletta intorno ai 70 anni della Costituzione italiana”.
Il dissenso di chi percepisce tutte le implicazioni di questo nuovo capitolo della crisi italiana, aperto con la cosiddetta “manovra del popolo”.
E non vuole passare alla storia come un novello Facta, che spalanca le porte, con mediocre complicità , al nuovo ordine sovranista.
È presto per porsi, sin da ora, la fatidica domanda: “Mattarella firmerà una manovra che mantiene questo livello di deficit, in un aperto conflitto con l’Europa e dopo settimane di inferno sui mercati?”.
Assolutamente prematuro, in una situazione in cui ogni giorno ha le sue pene. Però il dissenso odierno fa già capire che certo il capo dello Stato non metterà la firma sul default nazionale.
Per questo ricorda l’esigenza costituzionale dei conti in ordine “condizione indispensabile di sicurezza sociale, soprattutto per i giovani e il loro futuro”.
Per il popolo, insomma, inteso come “famiglie, imprese”, “per difendere le pensioni e rendere possibili interventi sociali concreti e efficaci”.
Non per i cinici burocrati di Bruxelles o i fanatici del pareggio di bilancio o i tecnici del tesoro, dipinti come perfidi guardiani che tengono sotto chiave risorse che spettano alle masse bisognose.
Per la prima volta da un po’ di tempo a questa parte ricompare nel gergo del Quirinale, nell’interpretare l’intento autentico del capo dello Stato, la parola “monito”.
E potrebbe non essere l’unica esternazione, anzi non lo sarà sicuramente, nell’ambito di un percorso che si annuncia lungo e complicato, segnato da fibrillazioni per tutto l’iter della manovra.
Dettaglio che dà il senso di una preoccupazione crescente, maturata nell’osservazione della giornata di venerdì sui mercati e nei colloqui di questi giorni su cosa ci si debba aspettare alla riapertura delle borse.
Tra questi non è fantasioso immaginare, in questo contesto, una riflessione col presidente della Bce Mario Draghi e con il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, le cui parole sulla necessità di “ridurre il debito”, indicano una preoccupazione comune.
La sensazione è che, nei vertici istituzionali, ci si attenda sin da lunedì non una vampata, ma una situazione di incendio costante.
Perchè ogni argine è crollato. Di fatto non c’è più un ministro dell’Economia, con un peso politico tale da poter influenzare la linea di sfondamento dei conti pubblici in nome della spesa improduttiva.
E non c’è un presidente del Consiglio in grado di essere altro, se non un semplice notaio delle scelte dei due veri king maker della maggioranza.
Anzi, in atto un salto di qualità con la baldanza del “me ne frego” di Salvini, il suo “stai tranquillo a Mattarella”, come se fosse Enrico Letta da mandare a casa, e la leggerezza con cui Di Maio dice che in fondo, lo spread si è assestato e che dunque, si va avanti.
Non c’è un solo operatore finanziario e un solo economista di rilievo a non aver spiegato che questo Def è solo una misura elettorale, fatta di spesa corrente, e non di investimenti per creare lavoro.
Più debiti, altro che lotta alla povertà .
Al netto della propaganda, queste cose le sanno tutti, a partire da Salvini che pare disposto ad accettare la rivolta del nord: gente che lavora e che produce, assiste al gran falò che mette in fuga gli imprenditori, in nome del reddito di cittadinanza, un sussidio di Stato dato magari a chi ha un lavoro in nero.
La ragione di cotanto azzardo è tutta politica. Per questo Mattarella ha iniziato a mettere agli atti il proprio dissenso.
Come in un drammatico gioco dell’oca, sembra essere tornati al punto di partenza. Quando, avvalendosi delle sue prerogative, il capo dello Stato si rifiutò di nominare Paolo Savona all’Economia, perchè quella scelta avrebbe incarnato la realizzazione del “piano B” di uscita dall’euro.
Adesso è il Def lo strumento per questo percorso di scontro frontale dell’Europa se non accetterà le condizioni del governo, in una imprevedibile escalation, perchè si capisce sin da oggi che, se i saldi non cambieranno, sarà bocciata dalla Commissione. E di “me ne frego in me ne frego” si arriva al dunque, la rottura in nome della difesa della sovranità nazionale.
A parole, sia Di Maio sia Salvini la escludono, ma nei fatti questa rottura l’hanno avviata e costruita. Se non ci saranno segnali di ravvedimento, Mattarella potrà dire di non essere stato complice.
(da “Huffingtonpost”)
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