MATTARELLA PRIDE, IL GIORNO DELL’ORGOGLIO DEMOCRISTIANO
L’ESULTANZA DI TANTI EX DC… MENTRE GLI EX DS FANNO UN PASSO LATERALE
“Ciriaco De Mita avrebbe detto: la Dc l’hanno sciolta, ma qui ce ne sono tanti…”.
Il democristiano del Pd Beppe Fioroni è paonazzo di felicità .
Esce dall’aula quando è ancora caldissimo il voto che ha eletto Sergio Mattarella al Quirinale: fatidico 665 che sfiora la maggioranza dei due terzi, compatta il Pd, ma soprattutto ricompatta gli ex Dc dispersi in ogni dove della politica.
In Transatlantico scoppia la festa dell’orgoglio democristiano. In ogni partito.
E se è così ovunque, anche nei partiti di centrodestra dilaniati dal voto su Mattarella, figurarsi cosa può succedere sotto la spessa coltre di felicità esibita dal Pd.
Dietro il giubilo Dem, c’è il giubilo perchè a parole nessuno oggi ammetterà rancori e sindrome di esclusione.
Ma tra gli ex Ds scorre sottile una riflessione su quanto il capolavoro renziano su Mattarella li abbia lasciati fuori dalla storia nuova e da quella vecchia.
Da una parte, il quarantenne Matteo Renzi a Palazzo Chigi, dall’altra il 73enne Mattarella al Colle: in mezzo finisce schiacciata la seconda repubblica e i leader sessantenni che ha prodotto.
Del resto, a Montecitorio, il vento ‘accomodante’ della prima repubblica si sente tutto. Fin dagli inizi di questa settimana di fuoco, che alla Camera si è aperta subito con uno squarcio antico: la presenza quasi quotidiana di Ciriaco De Mita in Transatlantico, i capannelli di parlamentari e anche giornalisti intorno a lui.
In questi ultimi tre giorni di votazioni quirinalizie, poi, l’apoteosi del revival anni ’80 si è scolpita da sola nel ritorno di presenze catapultate dal passato, scoperchiate dal caso ‘Mattarella al Colle’.
Molta Sicilia, molta ‘balena bianca’. E così in Transatlantico si aggira Salvatore Cardinale, dello scudo crociato di Caltanissetta, ministro delle Comunicazioni del governo D’Alema nel ’98, lo stesso governo in cui Mattarella era titolare della Difesa. Si rivede Vito Riggio, pure lui siciliano, ex parlamentare della Dc di De Mita, presidente dell’Enac dal 2003.
E, manco a dirlo, c’è anche il suo collega di partito nella Dc isolana e nella Cisl, Sergio D’Antoni.
Si affacciano ex socialisti come il sardo Antonello Cabras e anche volti del giornalismo della prima repubblica, da Anna La Rosa all’ex cronista ed ex parlamentare di Forza Italia, Paolo Guzzanti.
C’è aria di “ricomposizione”, per dirla alla Fioroni.
“Ma sai da quanto ci lavoriamo? Il 7 gennaio abbiamo fatto una prima cena decisiva. Napolitano non si era nemmeno dimesso…”, ci dice.
Ma già si sapeva che avrebbe lasciato il Colle a metà gennaio. E i democristiani uniti già lavoravano. Per Mattarella.
E l’altro lato del Pd? Il volto ex diessino oggi si allarga in sorrisi, ci mancherebbe. Finora ha lavorato per gruppi, ognuno per sè, ognuno per un candidato, con Bersani che è riuscito a trattenere il grosso della minoranza nell’attesa di un nome da Renzi: non divisivo, please.
“Non mi chiedere di rovinare la festa”, ci dice l’ex diessino Giorgio Tonini, ora convintamente in maggioranza con Renzi.
“Come dice Bersani esiste il Pd. Non esistono altre sigle. E così come Napolitano non era l’ex Pci, così Mattarella non è l’ex Dc. Il resto è figlio del diavolo”, giura Tonini. Sarà .
Ma al di là di Bersani, che si intesta la vittoria così tanto da seminare fastidio nelle altre aree del Pd (non è piaciuta la sua intervista al Corriere della Sera e quella frase: Mattarella “certe sciocchezze incostituzionali non le farà passare”), i veltroniani allargano le braccia.
Per dire: Walter Verini la prende “filologicamente”.
E scandisce: “Mi è indifferente che Mattarella venga dalla Dc. Per me è un antesignano del Pd, ha anche redatto il codice etico del partito”.
Ma non ha preso la tessera. “Un dettaglio: Mattarella è un democratico. E io sono lingottiano. E per me il Lingotto ha superato certe differenze nel partito”, continua Verini che è “sinceramente contento” pur senza nascondere che, naturalmente, lui un nome per il Colle ce l’aveva: Walter Veltroni.
“Purtroppo nel Pd c’è chi non ha metabolizzato…”. Nel senso che tra gli ex Ds ancora si elidono a vicenda, tante sono le fazioni che di fatto hanno impedito a Renzi di avanzare la candidatura di Veltroni o di Fassino: insomma, il file ex segretari del Pd non poteva proprio essere aperto, pena il caos nel partito e, a cascata, nelle altre forze politiche.
Perchè, come dice il bersaniano Alfredo D’Attorre, Mattarella è la dimostrazione che “quando c’è la quadra nel Pd non ce n’è per nessuno”. Vero.
“Ora serve più metodo Mattarella e meno Patto del Nazareno”. Chissà .
In ogni caso, Mattarella ha risolto il rischio di zizzania interna tra i Dem.
“Ricordo che ero nella commissione per il codice etico del Pd con Mattarella e già allora parlavo di superamento delle correnti cristallizzate”, aggiunge Verini. “Mattarella sarà il presidente di tutti gli italiani. E’ un’ottima scelta per il Paese e per le istituzioni”, sigla via twitter Veltroni.
I ‘Giovani Turchi’, cioè Matteo Orfini, Andrea Orlando e l’ultima generazione di dalemiani-ex diessini, sono stati gli unici che oggi hanno deciso di cautelarsi nel voto su Mattarella.
Sulla scheda hanno scritto ‘Mattarella S.’ perchè non hanno gradito i veleni di questi giorni sul loro conto. Renzi gli aveva consigliato di non farlo, ma loro hanno voluto tutelarsi ugualmente per non prendersi le colpe di eventuali esercizi da franco tiratore. Che poi non ci sono stati.
Ma la mossa la dice lunga sul fatto che, nonostante la tregua, il clima resta guardingo, soprattutto tra ex compagni della Quercia, visto che per ora gli altri, quelli che vengono dalla ‘balena bianca’, sono decisamente uniti nel ‘Mattarella party’.
Tanto più che è la componente di sinistra della Dc a sentirsi premiata dalla storia: non avveniva dai tempi di Francesco Cossiga, che resta un caso a parte, dunque non avveniva dai tempi di Giovanni Gronchi, anni ’50.
Pure il ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina, accenna a un bilancio delle diverse partite che si sono giocate nel Pd nella corsa quirinalizia: “Quanti fra noi (penso in particolare all’esperienza di Area Riformista) hanno sempre lavorato per un confronto interno costruttivo e leale, anche se a tratti duro, non possono che essere molto soddisfatti. Riflettano invece quelli che a più riprese sembravano scommettere volentieri sull’impossibilità di un lavoro utile, evocando addirittura scissioni, o per converso, quelli che hanno banalizzato o irriso l’importanza di un vero confronto interno rispettoso di tutte le nostre sensibilità ”.
Il Pd dei tanti volti si ritrova unito (anche con Sel) nei lunghissimi 4 minuti di applausi in aula per Mattarella presidente.
E’ un applauso corale che almeno per i primi due minuti unisce anche l’altra parte dell’emiciclo, fino ai banchi di Forza Italia: anche lì scoppia la claque per il nuovo capo dello Stato, perchè lì mezzo partito è confluito su Mattarella e addio ex Cavaliere.
E’ l’applauso della ‘rinascita’ che attinge dalla prima repubblica e salta la seconda e i suoi leader di mezz’età .
Segna un nuovo clima che travolge finanche Silvio Berlusconi.
I bersaniani del Pd lo declinano a modo loro: “Renzi ci ha ascoltato su Mattarella, ora ci dovrà ascoltare anche sull’Italicum e le riforme costituzionali perchè è stato dimostrato che si possono trovare equilibri in Parlamento e non solo all’esterno”, ci dice il costituzionalista e deputato Andrea Giorgis.
Ma è chiaro che sarà Renzi a declinare la nuova stagione: nel segno di Mattarella, padre finora sconosciuto di una storia che nel Pd appartiene al premier.
(da “Huffingtonpost”)
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