MELONI DELUSA DALLA VITTORIA A METÀ DI MARINE LE PEN
E ORA TEME L’OFFENSIVA DI SALVINI IN EUROPA
Non è andata come sperava. Giorgia Meloni sognava una vittoria totale di Marine Le Pen. Si aspettava che la presa del potere della figlia di Jean-Marie fosse chiara già al primo turno. Non perché consideri la leader francese la migliore alleata possibile — le due si parlano il giusto e si sopportano per interesse — piuttosto per una ragione tattica evidente: un’affermazione totale del Rassemblement National avrebbe scompaginato già da ieri sera gli equilibri europei, indebolendo ulteriormente Emmanuel Macron e aprendo forse una breccia nel fronte europeista che l’ha emarginata sui top jobs.
I risultati, però, dicono altro. La partita francese sembra aperta. E la presidente del Consiglio dovrà attendere almeno un’altra settimana prima di capire cosà accadrà a Parigi. Senza una vittoria di Bardella e senza coabitazione, si restringerà ulteriormente il potere negoziale della presidente del Consiglio in Europa.
Rendendo il dilemma degli ultimi giorni ancora più stringente: cedere i propri voti a Ursula von der Leyen per puro spirito istituzionale e senza contropartite politiche, oppure piazzarsi all’opposizione per marcare le destre sovraniste che intanto si organizzano?
Dovesse scegliere la prima strada, potrebbe costruire un dialogo con la nuova Commissione. Si convincesse invece della strada della radicalizzazione, si ritroverebbe ininfluente a Bruxelles e rischierebbe comunque di trasformarsi in una copia sbiadita degli identitari Le Pen, Viktor Orban e Matteo Salvini.
Da ieri sera, il rischio di finire impantanata nella terra di mezzo è dunque per Meloni ancora più concreto.
Mentre infatti in Francia le prime proiezioni assegnavano il 65% al blocco di sinistra, macroniani e repubblicani — lasciando aperto ogni scenario in vista del secondo turno — a Bruxelles si iniziava a intravedere il profilo di un gruppone sovranista, euroscettico e con marcate venature putiniane. Più combattivo di Ecr, forse più numeroso. Questa, almeno, la sensazione della premier, allarmata dalle mosse di Salvini.
Proprio le manovre del premier ungherese e del leghista non sono passate inosservate a Palazzo Chigi.
Orban ha presentato un progetto assieme all’estrema destra austriaca e ha ottenuto la benedizione del segretario del Carroccio, che ha auspicato una convergenza tra i nazionalisti dell’Est ed Identità e democrazia, promettendo che nel logo entrerà la parola “Patrioti”. Uno schiaffo a Meloni.
Un cantiere a cui Salvini fa sapere di lavorare da settimane: «C’è già un accordo di massima», trapela. Potenzialmente, si tratta di una pattuglia di almeno 75 parlamentari. Se al nuovo gruppo aderisse anche il Pis polacco — che ha venti eurodeputati in Ecr, è in freddo con Fratelli d’Italia e ha in agenda dopodomani la riunione in cui deciderà il proprio destino — allora si verificherebbe un mortificante sorpasso: 95 a 63, con i Conservatori che perderebbero il terzo gradino del podio, scavalcati dal nuovo soggetto.
Questa possibilità rende ancora più stringente il bivio della premier. Se Meloni volesse infatti ricucire con von der Leyen, la possibile saldatura degli estremisti potrebbe addirittura convenirle: la metterebbe a capo dell’unica destra disponibile a ragionare con nuova Commissione. A una condizione, però: accettare di offrire i propri voti a Ursula senza il riconoscimento politico sperato, che non arriverà mai. Meloni deve insomma decidere se garantire “da premier” e non da leader di Ecr i 25 voti di FdI. E concordare al massimo un buon portafoglio per il commissario italiano.
È lo scenario per cui premono riservatamente il Colle, Forza Italia, il Tesoro, la Ragioneria dello Stato e chi conosce gli enormi problemi che il Paese dovrà affrontare in autunno sui mercati e con l’Europa, a causa di un deficit troppo alto. Questa svolta, però, esporrebbe Meloni a un gigantesco problema politico con ciò che si trova alla sua destra
(da La Repubblica)
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