MELONI E’ FURBA, MA SCHLEIN NON C’E’ CASCATA
ALLA MELONI AVREBBE FATTO COMODO ELLY OSPITE AD ATREJU PER FAR DIMENTICARE I GUAI E POLARIZZARE LO SCONTRO, MA LA SCHLEIN QUESTO REGALO NON GLIELO FA
Se la politica fosse solo un talk-show, e i nostri eroi si spostassero come una compagnia di giro da Porta a Porta a Quarta Repubblica, da Otto e mezzo a Propaganda Live, sempre lì a battibeccare tra loro, a darsi sulla voce come comari, allora Schlein avrebbe sicuramente torto: si sarebbe dovuta precipitare lei da Meloni pretendendo un dibattito pubblico, anzi un duello all’ultimo sangue in quanto lo impone la legge dello spettacolo. Stesso discorso per i festival di partito: se fossero un luogo di dialettica democratica, un’occasione per confrontarsi e capirsi a vicenda, in quel caso la segretaria Pd non avrebbe giustificazione alcuna nel rifiutare l’invito ad Atreju.
Tra l’altro, fa notare su “Libero” lo storico Giordano Bruno Guerri, Elly frequenta le feste dell’Unità, l’odore di salsiccia è lo stesso tanto a sinistra quanto a destra, sbagliato fare gli schizzinosi, meglio partecipare.
Sennonché non tutto si riduce ai format televisivi, tantomeno alle kermesse di partito. La lotta politica è fatta di tanti ingredienti tipici della commedia umana. Di ambizioni, paure e retropensieri. Di ambizioni, astuzie e machiavellismi.
Usando il metro della convenienza, ad esempio, si scopre che la Ducetta non è generosa affatto nei confronti di Schlein, tutt’altro; tira l’acqua al proprio mulino perfino quando, come gli Achei, si presenta recando doni. A Meloni, in particolare, farebbe comodo un diversivo. Qualcuno o qualcuna con cui spartirsi la scena in modo da non venire a noia perché il troppo porta alla saturazione: basti dire che, soltanto nell’ultimo mese, la premier ha fatto 5 discorsi, più 9 conferenze stampa, più altrettanti interventi sui social, più 3 videomessaggi per non citare tutte le dichiarazioni e i comunicati e la finta intervista ai comici russi e la telenovela con Giambruno. Una scorpacciata mediatica a reti unificate. Perfino Silvio Berlusconi ogni tanto taceva e perlomeno di domenica spariva dai radar perché, quando non si mette freno al proprio “ego”, la gente cambia canale; chiedere per conferma a Matteo Renzi e pure a Matteo Salvini.
A Meloni, inoltre, servirebbe un nemico perché senza non riesce a stare, è la sua natura a pretenderlo, il suo tratto esistenziale. Le farebbe comodo un bel match con Elly (“Chi, tra noi due, è la più bella del reame?”) per distogliere l’attenzione dai migranti, dalle tasse, dalle pensioni, dalle tante illusioni sparse a piene mani con l’attesa di un grande duello finale. Per polarizzare lo scontro e drenare voti ai propri alleati in vista delle Europee. Per prefigurare un’Italia bipolare e fare largo all’elezione diretta del premier. Schlein sarebbe l’avversario perfetto. La competitor ideale. Radical-chic, talvolta sfuggente, sempre educata: con le sue faccette, le sue battutine e una dialettica popolaresca Giorgia saprebbe come inchiodarla. Tra l’altro ad Atreju lei giocherebbe in casa. Invece la segretaria Dem sarebbe sommersa di fischi peggio che Donnarumma a San Siro: chi glielo fa fare?
Difatti Schlein non ci pensa nemmeno. Alimentare il teatrino con Giorgia non le fa gioco per ragioni opposte ma speculari. Se la premier teme di debordare, lei spera che ciò accada. Se quella tenta di nascondere i dissidi con Forza Italia e Lega, a Elly fa comodo farli detonare.
Se Meloni desidera il premierato, la segretaria Pd non vuole assecondarla nell’impresa; e pazienza se, per sabotare la riforma costituzionale, dovrà resistere alla vanità propria e rinunciare a qualche voto in più che otterrebbe grazie a una sovraesposizione mediatica.
E poi: l’investitura a Schlein non può venire dalla Meloni, un vero leader si fa scegliere dal proprio popolo. Se Elly stesse al gioco di Giorgia, e vestisse i panni della Rivale, susciterebbe le gelosie di Conte che ambisce anche lui, forse perfino di più.
Il campo largo si stringerebbe prima ancora di incominciare laddove il problema della sinistra è unire le forze, mettere insieme mille ambizioni e magari anche un programma comune a partire dal salario minimo, dai fondi alla Sanità, dal disagio sociale.
È singolare che certe critiche alla Schlein siano piovute dai suoi amici i quali le rimproverano di sottrarsi al confronto, di darsela a gambe, di aver perso la grande occasione e la trattano da sprovveduta naïve. Meloni è stata abile a provarci, come al solito; ma Schlein, perlomeno stavolta, non s’è suicidata.
(da Huffingtonpost)
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