MELONI IN IMBARAZZO SUL CASO SALIS, SOLO IN SERATA CHIAMA ORBAN
TIMORI PER POSSIBILI VENDETTE NEONAZISTE IN UNGHERIA
Le immagini di Ilaria Salis trascinata al guinzaglio come una bestia in un’aula di giustizia di Budapest hanno sgretolato quel muro di indifferenza che Giorgia Meloni, come altri paladini dei sovranisti in Europa, aveva innalzato a difesa dell’autocrazia di Viktor Orbán, da anni accusata di violare lo Stato di diritto.
La telefonata della leader italiana al primo ministro ungherese arriva dopo giorni di pressioni, un imbarazzo crescente, divenuto lampante dopo la gaffe del ministro dell’Agricoltura, e cognato, Francesco Lollobrigida, che dice di non aver visto le foto dell’attivista in catene e quindi di non poter commentare.
Il colloquio telefonico viene preparato dallo staff mentre la premier per tutto il giorno è impegnata a Palazzo Chigi con capi di Stato e di governo, e a impacchettare un video di affettuosità con il tennista Janik Sinner, reduce dal trionfo di Melbourne.
Chiamare Orbán non è una faccenda semplice. Perché c’è una forma da rispettare: la sovranità di uno Stato, con i suoi rituali, che per Meloni è sacra. Un equilibrio delicatissimo che si regge sul riconoscimento obbligato della divisione tra potere giudiziario e potere esecutivo. Meloni può parlare solo di quello che ha visto, e di quello che le hanno riferito con prove certe. Con una strategia precisa di cui deve farsi carico: riuscire a ottenere i domiciliari per l’attivista e da lì farla trasferire in Italia. E così, dopo l’inciso dovuto – «con il rispetto che si deve all’indipendenza e all’autonomia della magistratura ungherese» – chiede a Orbán di garantire «un trattamento consono e più umano» alla cittadina italiana, «come a tutti gli altri detenuti».Ogni sillaba in più può suonare come un giudizio, e provocare una frattura diplomatica.
La presidente del Consiglio è irritata dal fatto che il caso le sia piombato addosso così, perché è convinta che l’ambasciata italiana di Budapest l’avrebbe potuto gestire meglio, e scongiurare situazioni vergognose come quella di lunedì. Meloni si trova all’improvviso con un duplice problema. Il primo di ordine istituzionale: da capo del governo deve dare una risposta all’opinione pubblica che è rimasta scandalizzata dalle foto di Salis e dalle ricostruzioni sul suo stato di detenzione.
Il secondo problema è più squisitamente politico: che fare con Orbán, compare di tante battaglie, scomunicato dai popolari europei e a un passo dal fare il suo ingresso nella famiglia dei Conservatori (Ecr) che Meloni guida e vorrebbe veder crescere. Altro elemento di contesto non secondario: queste sono le ore che precedono il Consiglio europeo straordinario d\i domani. Non un vertice come gli altri.
Ma un processo collettivo al premier di Budapest, che tiene in ostaggio 50 miliardi di aiuti all’Ucraina e la revisione del Bilancio Ue. Meloni arriverà questa sera a Bruxelles con i galloni della mediatrice a cui è affidato il compito – assieme a Emmanuel Macron – di ammorbidire le pretese di Orban, provando comunque a tenerlo lontano dall’orbita russa.
La premier non proferisce parola per giorni. La diplomazia italiana si trova a lavorare faticosamente sulla base di un indirizzo politico poco chiaro e minato dai continui distinguo di esponenti di maggioranza e di governo. I leghisti che se ne infischiano ostentatamente dei metodi medioevali dell’alleato ungherese, e tutto il vertice di Fratelli d’Italia che fa quello che fa quando il disagio si fa insostenibile: tace, o inciampa su dichiarazioni stralunate come ha fatto Lollobrigida. Questa volta però non si tratta di esprimere un giudizio sui saluti fascisti ad Acca Larentia, questa volta sono stati calpestati i diritti minimi di un’italiana arrestata durante gli scontri con gruppi neonazisti, e tutto è avvenuto in Europa, a casa di un leader amico.
Meloni non rivolge un secondo di attenzione a Ilaria Salis prima di lunedì sera, quando, a margine del vertice Italia-Africa, il ministro degli esteri Antonio Tajani la avvicina in Senato e la informa che, dopo la pubblicazione del video sul Tg3, intende convocare l’ambasciatore ungherese. Ádám Kovács rassicura la Farnesina che informerà il governo di Budapest. Chiama il ministro della Giustizia che a sua volta contatta il procuratore e il direttore del carcere per vigilare sulla detenzione di Ilaria.
Tajani ha già parlato con il suo omologo Péter Szijjártó il 22 gennaio, durante il Consiglio degli Affari esteri. E in quell’occasione ha chiesto di valutare misure cautelari alternative. L’obiettivo è tirarla fuori dalle carceri ungheresi. Contemporaneamente il ministro della Giustizia Carlo Nordio che, a sua volta, suggerisce al legale che assiste l’attivista di rinnovare la richiesta per i domiciliari. Cosa che avrebbe dovuto fare durante l’udienza dell’altro ieri, ma che non fa.
Dalle ricostruzioni delle ultime ore, ci sarebbe un preciso motivo dietro questa scelta. L’avvocato punta a ottenere i domiciliari direttamente in Italia. Senza cioè prima passare da un’abitazione in Ungheria, dove – spiegano fonti diplomatiche – le collusioni tra forze dell’ordine ungheresi e gruppi neonazi potrebbero esporre Ilaria al rischio di una vendetta da parte dell’ultradestra.
(da La Stampa)
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