MELONI NELLE SABBIE MOBILI: FINISCE SOTTO RICATTO DEI BALNEARI: “TI TOGLIAMO IL VOTO
LA CASTA PIU’ PROTETTA D’ITALIA (INSIEME AI TASSISTI) SI RIVOLTA CONTRO IL GOVERNO PER IL FUTURO INCERTO DELLE CONCESSIONI DEMANIALI MARITTIME, CHE DOVRANNO ANDARE A GARA, COME IMPOSTO DA BRUXELLES… “UN TEMPO LA PREMIER LA PENSAVA COME NOI. ABBIAMO GIÀ FATTO SALTARE TRUZZU IN SARDEGNA CHE SI ERA SCHIERATO CONTRO DI NOI, GLI ABBIAMO FATTO MANCARE UN MIGLIAIO DI VOTI”
Alla fine si sono decisi anche i sindacati dei balneari a prendere posizione contro il governo e a scrivere una lettera alla presidente del Consiglio in cui proclamano lo stato di agitazione in assenza di una norma che decida il futuro delle concessione demaniali marittime in scadenza il 31 dicembre del 2024.
È il simbolo di un malcontento che va avanti da tempo e che ha portato a una rottura profonda all’interno di una categoria che non ha mai fatto mistero di essere di destra e che sperava di avere un trattamento diverso dal suo governo.
Ma se Sib-Confcommercio e Fiba-Confesercenti si sono decisi ieri a ufficializzare la rottura con Giorgia Meloni, una gran parte dei balneari aveva già annunciato la presa di distanza scendendo in piazza a febbraio e, prima ancora, fondando il Popolo Produttivo, un movimento che, partito dai balneari si è allargato a venti altre categorie di lavoratori e che in pochi mesi ha raggiunto i 3100 associati circa solo tra i titolari di stabilimenti.
È Giorgia Meloni il bersaglio contro cui si scagliano, è lei la principale causa della rabbia e del malcontento di una categoria che dal 2010 si batte contro le regole decise a Bruxelles che minacciano il sistema di rinnovo delle concessioni in nome di una libera concorrenza che per i titolari degli stabilimenti è soltanto una pratica sleale. «Un tempo la pensava come noi anche l’attuale presidente del Consiglio», ricorda Daniele Ercoli, titolare dello stabilimento Caracoles.
Quando era all’opposizione Fratelli d’Italia era stato l’unico partito a votare contro il provvedimento del governo Draghi che tentava di riformare il settore adeguando le norme al diritto europeo. In campagna elettorale più volte Giorgia Meloni, Francesco Lollobrigida e gli altri esponenti del partito che ora si è installato nelle stanze dei bottoni avevano assicurato che si sarebbero battuti corpo e anima per la difesa delle coste italiane e avevano garantito una soluzione.
Un anno e mezzo dopo ai balneari le uniche soluzioni arrivate dal primo, attesissimo governo di destra sono stati l’ennesima proroga e un emendamento presentato da Maurizio Gasparri che – accusano i balneari – ha reso ancora più confusa la situazione mentre in Veneto una legge regionale ha introdotto le prime concessioni attraverso i temuti bandi.
La concorrenza dei grandi gruppi è lo spettro che spaventa questo settore che spesso viene identificato con Flavio Briatore e il suo Twiga che ha un fatturato di circa 100milioni l’anno. In realtà Briatore è un’eccezione. Secondo i dati più recenti presentati da Nomisma lo scorso febbraio in Senato, sono 15.414 le concessioni rilasciate agli stabilimenti balneari che occupano circa 60mila addetti (di cui 43mila dipendenti, circa 6,5 per impresa) e hanno un fatturato medio di 260mila euro l’anno.
Per questo settore che dal 2010 si regge sulle proroghe concesse da governi di ogni colore e composizione e da un affastellarsi di norme e sentenze che rappresentano un ginepraio inestricabile di ostacoli e obblighi, è arrivata la resa dei conti. E il governo Meloni rischia di rimanere con il cerino acceso in mano. L’Ue ha intimato di non poter accettare altri rinvii, ora è il momento di applicare la direttiva.
L’esecutivo ha preso in mano la questione ma si è presentato impreparato al primo appuntamento, la stesura della mappatura delle coste che va inviata all’Ue. È un documento importante perché la direttiva Bolkestein non si applica se esiste spazio a sufficienza per garantire il rispetto delle norme sulla concorrenza e quindi la possibilità anche di altri di aprire attività lungo le coste.
«Il governo ha portato a ottobre una mappatura incompleta, mancavano laghi e fiumi. Ha solo perso tempo e non ha voluto nemmeno prendere la mappatura completa e dettagliata che abbiamo realizzato noi. Sono un governo di incapaci o di venduti. In ogni caso noi siamo stanchi di aspettare. Giorgia Meloni deve saperlo, prima salvi il settore e poi il settore la voterà», sottolinea Battistelli.
Non sono soltanto parole né i ricatti tipici dei periodi preelettorali, assicurano. «Abbiamo già fatto saltare Truzzu in Sardegna che si era schierato contro di noi e gli abbiamo fatto mancare un migliaio di voti. Siamo in grado di fare altrettanto anche altrove. Possono esserci altre Sardegne», avverte Claudio Maurelli, portavoce nazionale del Popolo Produttivo. «In Abruzzo Marsilio è stato tutelato dai sindacati politicizzati ma ora la partita si sposta sulle europee e se i balneari finiranno all’asta – avverte -finiranno all’asta anche coloro che dovevano tutelarli. Questo è il nostro piano elettorale».
(da agenzie)
Leave a Reply