MELONI VUOLE METTERE IN RIGA SALVINI SU TRE DOSSIER: SOLINAS, BALNEARI E COMMISSIONE UE
“SE LA LEGA VUOLE USCIRE DALLA COALIZIONE E’ LIBERA DI FARLO”
“Se la Lega vuole uscire dalla coalizione, è libera di farlo”. Le feste sono finite nel centrodestra. Letteralmente. Dopo i convenevoli ruotati attorno alla conferenza stampa di fine anno, Giorgia Meloni a difendere Matteo Salvini dalle ombre dell’inchiesta Verdini, il segretario della Lega solerte a far filtrare la “piena sintonia” con la presidente del Consiglio, sull’Epifania si addensano nuvoloni neri.
Le prossime settimane si prospettano come frizzanti, ben che vada, per la maggioranza di governo. Si annusa sempre più nitidamente il clima elettorale, la competizione a destra di giorno in giorno si fa più stringente, Meloni sa di non poter sbagliare un colpo. Palazzo Chigi regala quella visibilità che permetterà di fatto alla premier di non fare un comizio ed essere comunque la leader più mediaticamente esposta.
Di converso tuttavia, quella stessa posizione amplificherà qualunque passo falso possa arrivare da qui ai prossimi mesi. E non importa di chi sarà la colpa, se meloniana o degli alleati, è alla soglia della stanza dei bottoni che verrà presentato il conto elettorale.
La minaccia di cui sopra arriva da Cagliari, ma la battaglia infuria a Roma. Giovedì una riunione fiume in terra sarda ha sancito lo strappo. Non sarà l’uscente Christian Solinas il candidato presidente in Sardegna, ma il sindaco di Cagliari Paolo Truzzu. Fuori la Lega per interposto Partito sardo d’Azione, dentro Fratelli d’Italia.
Salvini è andato su tutte le furie. Lo smacco sarebbe sonoro, tanto più che Solinas è il presidente uscente, un solo mandato alle spalle e quindi senza la tagliola del limite dei mandati. È stato Andrea Crippa, il vicesegretario che sempre più da voce a quel che il segretario del Carroccio pensa, a alzare il tiro della polemica: “Discutiamo Solinas? Allora riapriamo i giochi in tutte le altre Regioni”. Il riferimento nemmeno troppo velato è all’Abruzzo di Marco Marsilio, fedelissimo della premier, sul quale fino ad oggi nessuno aveva avuto da ridire.
A linea dura della Lega ha risposto la linea durissima di Fdi. Volete Solinas? Quella è la porta, in bocca al lupo, il senso di Antonella Zedda, coordinatrice del partito in Sardegna: “La vicenda è chiusa, non ci sono altri passaggi da fare”.
Parole tombali, stracci che volano tra i colonnelli, perché se si parlassero così tra i leader si arriverebbe sull’orlo di una crisi. “Discutiamo per trovare una soluzione comune”, ha minimizzato Meloni durante la conferenza stampa di fine anno. Sono almeno due mesi che la presidente del Consiglio ha di fatto deciso di cambiare cavallo nell’isola. Una tensione che è affiorata nelle cronache, muovendosi carsica e aprendo una voragine attorno alla quale i protagonisti danzano attentissimi a non cadere.
“Ma li vedono i sondaggi? Con Solinas ci schiantiamo”, quasi urla un dirigente di Fdi raggiunto al telefono. Questo è uno dei motivi per cui a via della Scrofa si è posto il veto al presidente uscente. Le rilevazioni delle intenzioni di voto lo danno lontano ben che vada più di dieci punti dalla sfidante, i sondaggi interni fatti da Fratelli d’Italia fotografano al contrario un Truzzu ben più competitivo. “Vogliamo regalare noi la prima vittoria in una Regione all’alleanza tra Pd e M5s?”, continua polemico il meloniano. È una delle considerazioni che ha mosso la leader a dare il via libera al sindaco di Cagliari.
Ce n’è un’altra. Oltre la Sardegna sono quattro i presidenti in ballo, il traino delle elezioni europee mette il vento in poppa ai candidati del centrodestra, ma solo uno è di Fdi, il già citato Marsilio. Confermare lo schema uscente significherebbe riconfermare la Lega anche in Umbria e Forza Italia in Molise e in Piemonte. Uno schema due-due-uno che penalizzerebbe il partito di maggioranza relativa, non fotografando gli attuali rapporti di forza. Fonti di via della Scrofa spiegano che non è in agenda nessun incontro tra i leader, ma dal Carroccio spingono per un faccia a faccia chiarificatore.
Meloni è decisa a imporre le proprie scelte in questo mix di governo e campagna elettorale che richiede a suo avviso fermezza nell’essere gestito.
Un altro fronte destinato ad aprirsi già a gennaio è quello dei balneari. Salvini ha già fatto ampiamente sapere di essere indisponibile a toccare le concessioni di chi attualmente le possiede. Nonostante una procedura d’infrazione aperta a Bruxelles, nonostante il duro richiamo di Sergio Mattarella sulla legge che allunga le licenze degli ambulanti di dodici anni. Il segnale è arrivato nell’ultimo decreto canoni, varato proprio dal ministro delle Infrastrutture. “C’è un taglio del 4,5%” ai canoni già irrisori se confrontati all’indotto”, denuncia il deputato di +Europa Riccardo Magi. Meloni al contrario è desiderosa di eliminare una volta per tutte la spada di Damocle che pende sull’esecutivo, per nulla intenzionata ad arrivare allo strappo con l’Ue.
Nel cassetto è pronto il piano di Raffaele Fitto. Se la trattativa che punta alla non scarsità della “risorsa spiagge” naufragherà, come è del tutto probabile che succeda, il ministro con delega al Pnrr prospetta gare per tutti, favorendo gli attuali concessionari con punteggi più alti nei bandi di concorso e indennizzi nel caso perdessero la gara. Una transizione soft verso la direttiva Bolkenstein, della quale la Lega non vuole sentir parlare.
Ma il tema dei rapporti europei è assai sentito dalla premier, che vuole giocare da protagonista nella complicata partita a scacchi della prossima Commissione. Meloni ha già messo in chiaro le cose: mai un’alleanza con la sinistra, questione ben diversa sul voto per il governo del continente, dove occorre un accordo tra tutti i paesi sui nomi dei commissari e che non può veder sfilarsi i partiti al potere in Italia, a meno che non si verifichino imponderabili cataclismi.
Insomma sì a un voto a un candidato comune anche con i socialisti, come potrebbe essere quello sul bis di Ursula von Der Leyen. Andò allo stesso modo con i 5 stelle, proprio quando guidavano il governo insieme alla Lega, e il Carroccio si infuriò a tal punto che fu uno degli inneschi della caduta del primo governo Conte.
La premier infatti non vuole rimanere tagliata fuori dal tavolo che conta: a cascata i dividendi vengono incassati anche negli incarichi parlamentari chiave, senza contare l’assurdità di un partito del premier che esprime un suo esponente nel governo continentale (proprio Fitto è sempre in pole position) e non lo vota. Sono ragionamenti molto simili a quelli che in Francia si tengono al quartier generale di Marine Le Pen. Che, pur condividendo lo stesso gruppo con la Lega, nel futuro risiko sembra voler adottare un approccio più simile a quello di Meloni. Un terreno di confronto che potrebbe essere fruttifero, e che sta mettendo in allarme i dirigenti del Carroccio. Le feste per il centrodestra sono davvero finite.
(da Huffingotnpost)
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