MENTRE GIORGIA MELONI ALLA CAMERA DECLAMAVA LA “COMPATTEZZA” DEL GOVERNO, I BANCHI DEL CARROCCIO ERANO DESERTI. UN MESSAGGIO ALLA DUCETTA DOPO GLI SCAZZI SULLA MANOVRA
MA LA GIUSTIFICAZIONE IMPROBABILE SUL RITARDO DEI TRENI CHE AVREBBE IMPEDITO LA PRESENZA DI ALCUNI DEPUTATI (CON LA SMENTITA DI FERROVIE) È SEMBRATA UNA FRECCIATA AL SEGRETARIO SALVINI, MINISTRO DELLE INFRASTRUTTURE…. IL CAPITONE FURIOSO PER L’USCITA DI STEFANO CANDIANI: “AI MIEI COLLEGHI NON IMPORTA UN CAZZO”
Un’Aula semideserta, una battuta infelice, il tentativo goffo di dare una spiegazione (treni in ritardo) che si rivela controproducente, un gruppo parlamentare di maggioranza (quello di Fratelli d’Italia) diligente e zelante che non fa mancare un solo componente.
E così finisce che più che dalla relazione della presidente del Consiglio Giorgia Meloni in vista del Consiglio europeo larga parte della giornata politica sia occupata da quel «pasticciaccio di Montecitorio». Cioè, il thriller sulle ampie e vistose assenze della Lega sui banchi del centrodestra nell’esatto istante in cui la leader della coalizione ne vantava la straordinaria compattezza e stabilità
Sciatteria o manovra politica, scarso rispetto dei doveri di un parlamentare o fronda per «punire» qualche sgarbo patito nella stesura della manovra di Bilancio? Parrebbe più la prima, se si prende per buona la dichiarazione del deputato leghista Stefano Candiani che, pur essendo abituato a scherzare, stavolta se ne esce con un «ai miei colleghi non importa un c…» che desta un certo sconcerto (e una solenne arrabbiatura postuma di Matteo Salvini).
E a rinforzo, visto che negli scranni della Lega sono presenti in 3 su 65, qualcun altro pensa di cavarsela chiamando in causa un presunto ritardo dei treni. Un boomerang perfetto. Un parlar di corda in casa dell’impiccato (il ministro dei Trasporti chi è?) che spinge Trenitalia a far sapere precipitosamente che i convogli hanno viaggiato tutti in perfetto orario.
È lì che, toccato il fondo delle spiegazioni improbabili, scatta la controffensiva per tentare di scongiurare le letture maliziose e gli attacchi, già pesanti, delle opposizioni. La Lega diffonde una nota per chiarire che voterà compatta la risoluzione del centrodestra (cosa poi avvenuta) e tiene a sottolineare che ciò che conta, più che quelli presenti durante gli interventi, sono i deputati che pigiano il tasto in sede di votazione.
Sarà, ma sotto traccia in casa leghista e forzista circola anche una certa insofferenza per l’obbediente diligenza dei colleghi di FdI che, invece, sono presenti a ranghi compatti. «Sembrano pinguini ammaestrati» distilla velenosamente un deputato nordista che non vuole fare la brutta figura di quello arrivato fuori tempo massimo.
Meloni, capita l’aria, cerca di sdrammatizzare, spiegando di essere arrivata in ritardo pur usando l’auto (e non i treni) in una città non guidata da un sindaco leghista. E Salvini, di rinforzo, dal suo ministero dove sta attendendo ad altri impegni, fa sapere che si sta montando una «polemica inesistente».
Ma a più di qualcuno resta il sospetto che la superficialità, l’aver fissato in agenda l’orario del voto e non quello del discorso della premier, non spieghi tutto. Tra i banchi (non solo quelli leghisti) e i corridoi di Montecitorio c’è chi fa filtrare un sentimento misto di insofferenza-irritazione per «quel piglio decisionista della premier che ci fa apparire come scolaretti». E allora, come a scuola, può essere utile un’assenza strategica.
(da agenzie)
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