“MI PIACE”, 40 EURO PER 1.000 LIKE: COSI’ I POLITICI SI COMPRANO LA RETE, SALVINI E GRILLO HANNO META’ DEI FOLLOWER FINTI
ULTIMO CASO LA REGIONE CAMPANIA CHE HA PAGATO UNA SOCIETA’ PER AUMENTARE IL NUMERO DEI FOLLOWER
L’ultimo caso è quello della Regione Campania che ha pagato una società per aumentare il numero di fan della propria pagina Facebook.
In poco più di due mesi è passata da 4mila a 60 mila fan.
Ma nella lista degli acquirenti di «like» ci sono attori, cantanti, politici e aziende.
Per comprendere meglio questo mercato siamo andati dai cosiddetti ‘professionisti del like’, ossia coloro che promettono più click e fan in cambio di soldi.
Incontriamo due ragazzi di Bassano del Grappa che a poco più di 20 anni hanno basato su questo un business molto redditizio: fatturato da 20mila euro al mese (in forte crescita), cabriolet, vestiti alla moda.
Tutto grazie alle offerte di pacchetti di “mi piace”. Gestiscono le richieste dalla loro stanzetta. Arriviamo la mattina presto e il computer è già inondato di ordini.
C’è il cantante che ha richiesto trentamila fan sulla nuova fanpage, l’attore che vuole più followers su Instagram, il politico che chiede retweet.
Un filone in espansione, quest’ultimo.
«Ormai le campagne elettorali si sono spostate sui social network – dice Hamza El Hadri, fondatore della Socialite – Non ci chiedono più di diffondere loghi o slogan ma di moltiplicare i “Mi piace” ai loro commenti»
I costi partono dai 19,90 euro fino ai 1400 euro per avere centomila fan.
C’è un attore che compra praticamente ogni mese. L’ultimo versamento effettuato è stato di 750 euro. La sua pagina ha 170mila seguaci. Quando li contattò la prima volta ne aveva solo diecimila.
«Ora va forte, la gente vede che è seguito e lo ritiene molto bravo. Del resto lei andrebbe a un evento dove ci sono solo due partecipanti?» dice Hamza.
In questo modo qualsiasi banalità diventa un successo. Facciamo una prova. Pubblichiamo una semplice foto di un albero di Natale su Instagram.
Dopo qualche secondo già abbiamo ricevuto un centinaio di apprezzamenti.
Scrivere un post come “Oggi è una bella giornata di sole” diventa un tripudio di applausi.
Anche se sul social di Zuckerberg i like viaggiano più lentamente. Perchè lì bisogna evitare l’antispam che blocca incrementi inconsueti.
Tutto questo crea un effetto a catena tra i navigatori della rete. Anche chi non è interessato al contenuto tende a cliccarci su. «Semplicemente per la voglia di far parte di qualcosa di popolare», ci spiegano.
E c’è chi ne approfitta. Come una persona che periodicamente paga per aumentare le condivisioni sui video anti islam o che descrivono questa religione come violenta, da temere.
Si fa capire che “l’Islam moderato non esiste” per poi vantarsi di esprimere opinioni molto apprezzate: «Come vedete la pensano tutti come me».
Ma come funziona questo sistema e chi sono gli utenti che cliccano “mi piace”? Nessuno che vende questi servizi vuole svelarne il funzionamento.
Sia perchè non sempre è lecito sia perchè ci sarebbero frotte di internauti pronti a imitarli.
I due ragazzi che incontriamo ci dicono solo che si limitano a ricevere gli ordini e girarli a un network che poi si occupa della raccolta “like”.
Il 25% di quello che guadagno va al network. Così funziona anche per gli altri, con poche varianti. Contattiamo uno di questi network. Ci fingiamo acquirenti. Non di like ma dell’intero sistema.
Gli spieghiamo che vogliamo metterci in proprio. Ci risponde un ragazzo di 25 anni, di Belluno, lavora con il padre in azienda ma al tempo stesso ha sviluppato questa attività sui social.
All’inizio è diffidente. «Non ti posso dire come faccio ma ti dirò come fanno gli altri. E sono la maggioranza. Utilizzano degli shell script. Spiegato in parole povere… hai presente quando appaiono quelle finestre di benvenuto all’apertura di una pagina? Tu clicchi sulla X credendo di chiudere il pop up invece stai mettendo un “mi piace” da qualche parte. E chi programma questi script viene pagato profumatamente per inserirli»
Quella che ci descrive è solo una delle tante tecniche usate per accumulare like.
Il funzionamento è molto simile a quello che vi avevamo spiegato per le truffe telefoniche. Tuttavia, il ragazzo per invogliarci a comprare ci garantisce che il suo sistema genera solo utenti reali. Lo proviamo.
E tra i vari like ricevuti troviamo un certo Alfio Bellini, un maresciallo dei Carabinieri. Peccato però che negli archivi dell’arma non risulti nessuno con questo nome.
“A meno che non faccia parte di reparti speciali come i servizi segreti non esiste nei nostri archivi” ci dicono dall’Arma che ha avviato una verifica.
Il testo del profilo è scritto in indonesiano.E la maggior parte del traffico proviene dal Vietnam e dalla Thailandia. Sono tutti profili abbastanza standard: un paio di foto, qualche informazione generica e pochissimi amici.
Quando lo facciamo notare, il responsabile del network cambia atteggiamento. Davanti all’evidenza è costretto a spiegare qualcosa di più. «Diciamo che gli utenti internazionali sono metà reali e metà non reali insomma».
Ma non erano tutti reali? «In realtà mi affido a degli esperti che non sono italiani e nemmeno americani, sono soprattutto turchi e arabi che sanno generare profili falsi. Li vendono a buon mercato. Altre volte sono sviluppati da software monitorati costantemente da hacker. Così facendo se Facebook attiva l’antispam si riesce prontamente ad aggirarlo».
Questa specie di doping del gradimento virtuale non risparmia proprio nessuno e fa leva soprattutto su un fattore psicologico.
Perchè chi compra like aumenta il numero sul contatore della pagina ma non le persone che realmente lo seguono.
Se poi l’acquirente è un’istituzione c’è da chiedersi a cosa serva visto che chi segue la pagina non sempre è reale.
«Una verifica l’abbiamo fatta anche sugli account di alcuni politici, eravamo curiosi – dice Hamza -.
Ad esempio tra i seguaci di Matteo Salvini abbiamo evidenziato tantissimi fake, utenti non reali o utenti con profilo falso».
A confermare quello che dice ci sarebbero i dati di Twitter Audit, un algoritmo creato da David Gross e David Caplan con l’obiettivo di quantificare gli utenti non reali su Twitter (si basa soprattutto sull’attività che i profili svolgono sul social network, ossia la data dell’ultimo tweet, il numero di tweet, etc Il software considera un fake l’utente che da molto tempo non usa l’account).
Digitando il nome utente di Salvini risulta che quasi la metà dei suoi followers sarebbero finti o non attivi.
Fa peggio Beppe Grillo. Dei quasi due milioni di fan, per Twitter audit ben 1.209,654 risultano falsi.
(da “il Corriere della Sera”)
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