MORTI DUE VOLTE: I MIGRANTI DI LAMPEDUSA SEPPELLITI AD AGRIGENTO SENZA FUNERALE
AL POSTO DEL NOME UN NUMERO…E NIENTE ESEQUIE DI STATO COME PROMESSO
E’ finita così, senza neppure una lapide. Senza fiori nè liturgie. Senza funerale.
Le vittime del naufragio del 3 ottobre sono state seppellite così, come se niente fosse. Ottantacinque corpi dimorano qui, nell’assolata periferia di Agrigento, al cimitero di Piano Gatta.
Avevano promesso funerali di Stato. E invece nulla. Neppure una cerimonia, nessun rappresentante del Governo.
Tumulati nell’indifferenza istituzionale dopo giorni di lacrime.
Stesso discorso per gli altri 200 corpi, sepolti in vari cimiteri siciliani.
Erano partiti con una speranza, sono finiti in una bara. Dopo mesi di cammino, l’ultima frontiera di questi immigrati è il camposanto. Lontano dalla patria, lontano dai sogni. Eterna dimora, sistemata in fretta e furia dagli instancabili operai del cimitero.
Cinque cappelle che ospitano circa quindici corpi ciascuna. Al posto della lapide il cemento. Al posto del nome un numero.
Quei numeri che abbiamo visto scorrere nelle cronache dei giorni scorsi. Soltanto il sindaco e il vicario dell’Arcidiocesi di Agrigento hanno avuto la delicatezza di venire a trovare le salme.
Hanno portato cinque corone di fiori, ma ci sono soltanto quelle per 85 tombe.
Le cappelle in cemento riservate agli immigrati sono in fila, una dietro l’altra, monumenti ignoti del nuovo olocausto. Dentro ognuna di esse ci sono le vittime numerate. Dietro a ogni numero una bara. Ogni cappella ha otto corpi sottoterra e otto ai lati.
Il responsabile del cimitero, Salvatore D’Anna, ha ancora negli occhi le immagini dei sei camion che domenica scorsa hanno trasportato le bare. Lavora da anni nel camposanto ma tante bare tutte insieme non le aveva mai viste.
«Adesso non dobbiamo dimenticare» dice sconsolato. «Da Roma non ci è arrivata nessuna notizia in merito ai funerali, ma dobbiamo fare qualcosa».
Incredulo anche il sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini: «Se avessimo saputo che non si sarebbero mai celebrati gli annunciati funerali di Stato per le vittime del naufragio di Lampedusa, prima di fare partire le salme dall’isola avremmo celebrato noi un funerale. Una cerimonia funebre per dare l’ultimo saluto alle povere vittime. Un funerale di paese, come quelli che facciamo a Lampedusa. E’ ingiusto seppellire i profughi senza un funerale…»
Sotto il cielo funereo di Piano Gatta, c’è un pezzo di Eritrea, un pezzo di Somalia, un pezzo di Siria.
Sono quasi tutti giovani i cadaveri che giacciono in queste bare infossate nelle pareti grigie.
Un bambino, una madre incinta e una coppia di sposi. Le loro salme si sono aggiunte a quelle di altri undici immigrati vittime dei naufragi. Una triste abitudine per il cimitero di Piano Gatta, un liet motiv che si trascina ormai da anni.
L’atmosfera immobile di Piano Gatta è distante dai clamori mediatici di Lampedusa: vedove e anziani in lento pellegrinaggio dai parenti defunti, ma quasi nessuno che porta un saluto alle vittime del mare.
Soltanto un paio di familiari eritrei arrivati poche ore fa, poi l’oblio, raramente interrotto da una preghiera di quei siciliani che non vogliono dimenticare.
Sono loro gli ultimi custodi delle anime migranti, gli unici a lasciare un ricordo su queste bare senza nome.
(da “il Corriere della Sera“)
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