NATALE A BORDO DELLA OCEAN VIKING: “ANCHE OGGI PRONTI A SALVARE CHI E’ IN PERICOLO TRA LE ONDE”
POCHI FESTEGGIAMENTI E MASSIMA ATTENZIONE PER EMERGENZE IN MARE: “PER NOI E’ UN GIORNO COME UN ALTRO”
C’è un piccolo albero di Natale su Ocean Viking. Sulla cima c’è una lucina che brilla a intermittenza. Arriva da una “banana”, uno dei gonfiabili usati nelle operazioni di salvataggio più complicate, quando c’è tanta gente già in acqua, o la carretta su cui viaggiano è tanto malmessa da rischiare di andare a faccia in giù in un attimo e allora tocca stabilizzarla.
Le feste arrivano mentre la nave di soccorso di Sos Mediterranee fa rotta verso il Mediterraneo, con la Sardegna ormai alle spalle e la zona Sar che si avvicina. Non è cosa che si riesca a dimenticare o mettere da parte. E non soltanto perché l’ultimo training riguarda le violenze sessuali che subisce chi attraversa il mare e quello ancora prima, le procedure da adottare in caso di naufragi con grande numero di vittime.
Il pensiero che anche a Natale tra le onde ci potrebbe essere qualcuno
Si muore nel Mediterraneo, spesso, troppo spesso. Le cifre ufficiali parlano di più di 1.300 persone mangiate dal mare, ma sono numeri approssimativi. Di molte partenze non c’è traccia.
Chi oggi è a bordo della Ocean Viking lo sa, così come sa che nel giro di ventiquattro ore o poco più potrebbe avere la possibilità di evitare almeno qualcuno di quei lutti. Quindi anche se per qualche ora si stacca, c’è una cena speciale, si brinda con una bibita – niente alcol sulle navi, tocca stare in allerta – e al mattino un regalino aspetta ciascuno dei membri dell’equipaggio, il pensiero che lì fra le onde ci potrebbe essere qualcuno che chiede aiuto non sparisce mai.
“È servito e serve un momento così – spiega Hector, uno dei driver con anni di esperienza alle spalle anche su altre navi di soccorso – ma sei troppo concentrato su quello che sai che ti aspetta per apprezzarlo fino in fondo. Sai che nel giro di ventiquattro ore potrai trovarti davanti situazioni terribili, in cui da ogni tua decisione, da ogni tua azione, potrebbe dipendere la vita di un altro essere umano”.
È sensazione comune a tutti i membri dell’equipaggio. “Quando sei qui – aggiunge – sai che ti troverai in prima linea, in uno scenario che è quasi di guerra. La gente a terra non lo sa, o forse non vuole sapere che qui spesso ci ritroviamo a raccogliere cadaveri”.
Anche oggi a bordo c’è grande concentrazione
La tensione, o meglio la concentrazione, è palpabile. Il Natale sembra quasi far irruzione in uno spazio in cui non è previsto. L’arrivo a bordo dei ritmi che dettano legge a terra è quasi anomalo perché anche il tempo sulla nave scorre con ritmi diversi. Sparisce il senso dei giorni della settimana, che sia mercoledì o domenica poco importa. La settimana, senza i turni di lavoro a scandirla, diventa convenzione. Lo stesso le feste.
Pesa il rapporto fra luce e buio perché la notte nasconde fra le onde le minuscole imbarcazioni usate per le traversate, le ore valgono solo in rapporto alle miglia che hai da percorrere o il cambio che devi dare secondo i turni prestabiliti. I minuti sono quelli funzionali a mettere su le tute necessarie per salire sui gommoni o preparare il ponte o la clinica mobile per l’accoglienza successiva al salvataggio. La vita a terra e i suoi rituali rimangono lontani.
“Mi pesa non vedere mio fratello in queste feste”
Risalgono di tanto in tanto come risacca, insieme ai messaggi che arrivano con il fuso orario dettato dal wifi di bordo che boccheggia, o alle foto mandate da case lontane, sia fisicamente sia mentalmente. “L’unica cosa che mi pesa – dice Sara, a bordo per la Croce Rossa – è sapere che quest’anno non rivedrò mio fratello. Vive in Libano, torna solo per le feste e quest’anno non ci incroceremo. Ma è giusto stare qui”. Lucia, alla sua prima missione, è anche al suo primo Natale lontana da casa dopo anni. “Ma non mi importa – dice – non ho mai dato tanto peso alle feste. In questo momento, non vorrei stare in un posto diverso da questo”
Per Luisa, la Sar Coordinator, e altri della crew è invece l’ennesimo Natale a bordo. L’anno scorso il 25 dicembre erano in Sicilia, dove la Ocean Viking aveva attraccato ventiquattro ore prima per far sbarcare chi stato salvato dalle onde. Quel giorno l’equipaggio finalmente respirava dopo giorni e giorni di missione, allungata da uno stand-off – l’inutile attesa necessaria prima di ricevere indicazione di porto sicuro – arrivato dopo giorni finiti a sfilacciarsi uno dopo l’altro prima dell’approdo. Il tempo sembrava non passare mai. Oggi ha solo il sapore di un’incognita. “Quando arriverà la prima richiesta di soccorso?”.
(da La Repubblica)
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