NEL 2023, L’ITALIA RISCHIA DI NON INCASSARE NEMMENO UN EURO DEI 40 MILIARDI DEL PNRR A DISPOSIZIONE
FITTO, SOTTO PRESSIONE DI COMUNI, REGIONI E MINISTERI, PROVA AD ACCELERARE SUI NUOVI PROGETTI: MA LA COLPA DELL’IMMOBILISMO SUL RECOVERY È SOPRATTUTTO DELL’ACCENTRAMENTO A PALAZZO CHIGI
La ragione ufficiale che stamattina ha riportato Giorgia Meloni a Bologna è per accompagnare la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen nel sorvolo in elicottero delle zone alluvionate. Coincidenza vuole però che l’annuncio della trasferta arrivi a poche ore dalla dura pagella dell’esecutivo comunitario nei confronti dell’Italia.
Che la Commissione sollevi dubbi sulle scelte di politica economica del governo in carica, è quasi la normalità. Ciò che preoccupa la premier è una frase pronunciata durante la presentazione delle raccomandazioni da parte di Paolo Gentiloni.
«Non bisogna guardare alle scadenze formali ma alla realtà, e la realtà indica che l’Italia dovrebbe chiedere una quarta tranche a giugno e una quinta a dicembre: per mantenere un tale ritmo occorre che la discussione sulle richieste di modifica del Piano nazionale di ripresa e resilienza avvenga prima possibile, altrimenti le cose diventano difficili, se si vuole mantenere il ritmo stabilito».
Il messaggio del commissario italiano può essere tradotto così: nel 2023 l’Italia rischia di non incassare nemmeno un euro dei quaranta miliardi del Pnrr a disposizione.
Per questo il ministro degli Affari comunitari Raffaele Fitto ha messo sotto pressione i ministri, invitandoli a presentare in tempi rapidissimi le rispettive richieste di modifica. In questo modo pera di chiudere la proposta di revisione del Piano nella prima metà di giugno. Quaranta giorni fa il sottosegretario alla presidenza Matilde Siracusano aveva spiegato in aula alla Camera che il governo si sarebbe sentito vincolato solo al termine legale del 31 agosto.
Meloni ora è costretta a intervenire per evitare il peggio. D’altra parte i ritardi del piano sono tutti attribuibili ad una precisa strategia di Palazzo Chigi: prima con la lentissima riforma della governance, che ha spostato a Palazzo Chigi la regia del progetto, ora per il tempo necessario a rimettere mano al Piano in quanto tale.
Fitto vuole sfrondare la giungla dei micro interventi, attribuire più fondi alle grandi imprese attraverso il piano parallelo “Repower”, spostare dal Recovery Plan alla programmazione ordinaria dei fondi europei (in scadenza nel 2029) le infrastrutture che l’Italia non sarà in grado di terminare entro il 2026.
Per completare questo vasto programma non è solo necessario tempo, ma anche una fortissima volontà politica. Perché nel frattempo sono sorti problemi con tutti: con la tecnostruttura del Tesoro, rimasta orfana del suo ruolo. Con i sindaci, ai quali spetta circa il 40 per cento delle risorse e accusati di accedere lentamente ai fondi.
Ora è il momento delle Regioni, che chiedono lo sblocco della programmazione ordinaria dei fondi 2021-2027. Fitto è mosso dalle migliori intenzioni, convinto che occorra una pianificazione centrale. Ma il nervosismo crescente di sindaci e presidenti di Regione è un problema politico per l’intera maggioranza. Sul telefono di Fitto squilla sempre più spesso il numero di Matteo Salvini: il ministro delle Infrastrutture teme che i ritardi si ritorcano sui cantieri in capo al suo ministero.
La capacità del governo di uscire dalla secca del Pnrr si misurerà la prossima settimana, quando Fitto porterà in Parlamento (anche qui in ritardo) la relazione semestrale sullo stato di avanzamento delle opere. Quello sarà anche il test della disponibilità dell’opposizione ad uno spirito repubblicano.
(da la Repubblica)
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