NELLA LEGA PARTE LA FAIDA: I VENETI SONO INCAZZATI PERCHE’ I CINQUE MINISTRI ESPRESSI DAL CARROCCIO SONO TUTTI LOMBARDI
NELLA LEGA PARTE LA FAIDA: I VENETI SONO INCAZZATI PERCHE’ I CINQUE MINISTRI ESPRESSI DAL CARROCCIO SONO TUTTI LOMBARDI
LORENZO FONTANA NON HA BUONI RAPPORTI CON LUCA E VIENE CONSIDERATO PIÙ UOMO DI FIDUCIA DI SALVINI CHE RAPPRESENTANTE DEL VENETO
Cinque ministri e tutti lombardi. «Altro che Lega Nord o Lega per Salvini premier, qui siamo tornati alla Lega lombarda di Umberto Bossi». Lo sfogo di un leghista veneto è la fotografia degli umori che si colgono se ci si allontana dagli ambienti più vicini al segretario e neo ministro alle Infrastrutture, che ieri ha cenato con i quattro colleghi, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e la compagna Francesca Verdini nel cuore di Roma.
Il leader che si dice soddisfatto per il ruolo e il peso conquistato nel nuovo esecutivo deve scontare il rilievo di chi gli fa osservare che non è stato capace di valorizzare le diverse espressioni territoriali del suo partito. I più arrabbiati sono i veneti. Nel governo ci sono tre corregionali (Carlo Nordio, Elisabetta Casellati e Adolfo Urso) ma nessun esponente della Lega.
Un doppio affronto che per sfortunata coincidenza abbina il giuramento dell’esecutivo con il quinto anniversario dei referendum per l’Autonomia che si tennero proprio in Veneto e in Lombardia. Un lustro è passato invano, nonostante la Lega sia stata al governo sia con Conte che con Draghi.
L’insofferenza è forte, soprattutto nella Regione governata da Luca Zaia. Non è un caso che un uomo di sua fiducia, l’assessore Roberto Marcato, ieri sia stato protagonista di un flashmob a Bassano del Grappa per «gridare il diritto per il popolo veneto di avere ciò che chiediamo da anni».
I toni sono ultimativi, e poco importa che il neo ministro per le Autonomie sia un leghista come Roberto Calderoli. «Questo governo non ha più alibi – scrive su Facebook Marcato – noi siamo stanchi di aspettare. Se non ci sarà l’autonomia non ci sarà motivo di stare al governo».
Non avere uomini del territorio dentro l’esecutivo accentua il disagio. E a nulla è valso far eleggere alla presidenza della Camera un veronese come Lorenzo Fontana perché i suoi rapporti con Zaia non sono idilliaci e, soprattutto, viene considerato più uomo di fiducia di Salvini che rappresentante del Veneto. Ai vertici del partito, comunque, sono consapevoli che bisogna intervenire per un riequilibrio.
Il modo più immediato e diretto per aggiustare il tiro è sfruttare la nomina dei sottosegretari per dare spazio a leghisti veneti ma anche di altre Regioni, non fosse altro che per tenere fede alla vocazione nazionale su cui Salvini ha investito negli ultimi anni.
Qualche nome affiora. Per esempio, quello del siciliano Nino Minardo, entrato nella Lega nel 2019 dopo una lunga militanza in FI. O quello di Michele Marone, assessore regionale in Molise, non eletto alle Politiche. Per il Veneto tra i candidati l’identikit giusto potrebbe corrispondere alla figura di Alberto Stefani, 29 anni, commissario regionale. Che proprio ieri sui social ricordava che sull’Autonomia «ora servono i fatti».
(da il Corriere della Sera)
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